Jack DeJohnette il batterista completo

Massimo Bracco 21 dic 2018
Riesaminare la biografia di Jack Dejohnette significa ripercorrere tutta la storia del jazz-rock e di buona parte del jazz contemporaneo. La sua batteria scattante ed inconfondibile è stata la forza propulsiva di dozzine di dischi fondamentali e ha esercitato un'influenza indelebile anche sui drummer venuti dopo...

La sua forza sta nel continuo adeguarsi agli umori cangianti del jazz contemporaneo, riuscendi di volta in volta a reinventare il suo potente concept ritmico e a mantenere sempre vivo l'impatto emotivo delle sue performance. A differenza di altri drummer della sua generazione, DeJonhette (classe 1942), è anche un autore completo: leader di varie formazioni personali fino dagli anni '70, la sua vena compositiva ha spaziato dal jazz-rock sperimentale all'avant-garde jazz, fino alle esplorazioni hard-funk o etniche dell'ultimo periodo.
Tra i suoi 23 album solisti c'è persino un disco interamente dedicato al pianoforte ("The Dejohnette piano album") perché Jack è anche pianista e compositore di buon spessore.
Nato a Chicago il 9 agosto 1942, Jack iniziò i suoi studi musicali proprio diplomandosi sul pianoforte, finché nel 1960 si innamorò della batteria e decise di farne il suo strumento principe. Quattro ore al giorno di pratica ed esperienze musicali di ogni genere (dal rhythm and blues al ...
l'articolo continua  

info intervista

JACK DEJOHNETTE
free jazz) forgiano il suo stile nella natia Chicago.
Il trasferimento a New York nel '66 lo immerge nella scena jazzistica: suona stabilmente o in jam session con John Patton, Jackie Mc Lean, Betty Carter, Abbey Lincoln e successivamente anche con John Coltrane, Thelonious Monk, Freddie Hubbard, Bill Evans, George Benson, Chick Corea e Stan Getz.
Il suo primo ingaggio a lungo termine è nella band del sassofonista CHARLES LLOYD, con cui gira tutta l'America, l'Europa ed il Giappone ed incide 8 album. In quel quartetto (precursore del jazz-rock e del funky) incontra per la prima volta KEITH JARRETT, con cui stabilirà una lunga amicizia. Le apparizioni che rendono famoso lo stile pungente di Dejohnette sono quelle al fianco di MILES DAVIS, proprio nel periodo cardine a cavallo tra il 1969 ed il 1971.
Jack è il batterista che introduce Miles al funk ed alle furie elettriche, contribuendo in modo determinante alla svolta epocale del trombettista: è proprio Dejohnette a scandire lo splendido groove sincopato in "Miles Runs the Vodoo Down" nello storico doppio "Bitches Brew" e sua è la performance leggendaria in "Live/Evil" (il furibondo brano "What I say") progenitrice delle battaglie strumentali di Mahavishnu Orchestra e Return To Forever. Altre sue prestazioni speciali accanto a Miles Davis si possono ascoltare nell'album "Big Fun" (in combo rock con John Mc Laughlin), nel "Live at Fillmore" e nell'incredibile apparizione al Festival rock dell'Isola di Wight, di fronte a una platea di 300.000 hippies.
Dislocazione del beat e moltiplicazione degli accenti sono i due concetti fondamentali che Dejohnette approfondirà sia nell'ambito dell'avanguardia jazz, sia in contesti fusion.
I suoi primi album solisti per l'etichetta Prestige sono ancora in bilico tra smanie quasi free e sussulti elettrici: fino dall'esordio "Dejohnette complex" del '68, attraverso lo sperimentale "Have you heard?", il jazz rock inquieto di "Socery" ed il sound più eclettico e pretenzioso di "Cosmic Chicken". La nota label tedesca ECM fiuta subito il talento di Jack e lo pone sotto contratto per una serie di partecipazioni memorabili, inaugurando anche la serie dei migliori album solisti di Dejohnette. Il primo è lo strano e sperimentale "Ruta and Daitya" del '72 in coppia con Keith Jarrett, jam quasi psichedelica e imprevedibile che conserva tutt'oggi un fascino particolare.
Per apprezzare in pieno il drumming polivalente di Jack basta ascoltare i suoi album con la band Gateway fondata con gli amici John Abercrombie e Dave Holland (suo contrabbassista preferito in decine di avventure), in cui il concept di trio chitarrocentrico viene completamente reinventato ed aperto a stimoli nuovissimi.
Il primo disco del '75 è grintoso e visionario, mentre "Gateway 2" del '77 allarga l'orizzonte verso un suggestivo impressionismo esotico. Una formazione analoga ma con sussulti più rock è il trio di Dejohnette con Terje Rypdal e Miroslav Vitous, che frutta due dischi interessanti nel '78 e nell'81.
Nel '76 realizza "Untitled" e nel '77 "New Rags" con il suo quartetto Directions che abbina il sax di Alex Foster alla chitarra tagliente di Abercrombie. "New Directions" del '78 amplia quella formula con l'ingresso nella formazione del trombettista Lester Bowie, che dà maggior peso alla componente jazzistica.
Ma il vero punto di svolta è "Special Edition", una band tutta nuova con i micidiali sassofonisti David Murray e Arthur Blythe: è un line-up esplosivo capace di creare grandissima tensione improvvisativa in un battagliero jazz d'avanguardia altamente creativo.
Il live "In Europe" ci dà una buona idea di quanto fossero carichi i loro concerti, ma il vero apice è il successivo "Tin Can Alley" (1980) pieno di energia travolgente senza compromessi. Il drumming di Jack è straordinario per spinta propulsiva e inventiva. Servono altri due dischi eccitanti "Inflation Blues" e "Album Album" per placare quella furia e per terminare momentaneamente il suo contratto Ecm.
I nuovi dischi solisti escono per l'americana Impulse e segnano un'altra svolta per il batterista. "Zebra" in coppia con Lester Bowie è fortemente marcato dall'etnia africana e da sperimentalismi free. Viceversa "Irresistible Forces" dell'87 inaugura il suo nuovo corso elettrico, con una band nervosa imperniata sui due giovani sassofonisti Greg Osby e Gary Thomas con il contraltare della chitarra sgusciante di MICK GOODRICK.
Il successivo "Audio-visualscapes" ('88) approfondisce meglio questa formula, sfruttando con grande lucidità il contrasto tra i due sax e la chitarra elettrica in stile metheniano; in questo album è Jack stesso ad occuparsi delle tastiere, con gustose coloriture di synth che appaiono qua e là accanto al suo drumming molto sciolto e sostanzioso. Il risultato è fresco e convincente, infatti vince il titolo di "album dell'anno" nel referendum della rivista americana di jazz Down Beat.
Il disco seguente "Earthwalk" vira verso un funk più marcato e diretto, con momenti di sano divertimento accanto a passaggi più prevedibili; sempre bravissimi i due sassofonisti Gary Thomas e Greg Osby (nel frattempo diventati a loro volta titolari di album solisti) mentre la chitarra viene sostituita dalle tastiere insinuanti di Michael Cain.
Il '90 è l'anno di "Parallel Realities" progeto di grande successo commerciale fino dall'idea di all-star band: un trio con PAT METHENY e HERBIE HANCOCK in cui Dejohnette sfodera il lato più immediato e comunicativo del suo drumming, con brani più vicini alla fusion metheniana seppure scritti anche da Jack stesso. Il disco è gradevole, anche se non certo innovativo e parzialmente ingessato dal basso eseguito con il synth da Jack; il tour che ne segue (in quartetto con Dave Holland) è un successo mondiale che richiama grandi masse.
Un discorso a parte merita "Music for the Fifth World" del '92, album carico di energia e significati, a tratti caotico ma comunque sorprendente per volontà sovversiva. Il sound è molto denso ed elettrico, con le due chitarre sovreccitate di JOHN SCOFIELD e VERNON REID (ex Living Colour) e da batteria martellante di WILL CALHOUN a raddoppiare quella di Jack. L'ispirazione parte dagli Indiani d'America con alcuni canti tribali ricostruiti in studio, ma il nucleo del disco è costituito da lunghe performances elettriche arrabbiate, a tratti ossessive che spremono il meglio dalle due chitarre (la delirante "Fifth World Anthem" con le chitarre hendrixiane su un solo accordo ostinato e il terremoto delle due batterie impazzite); da notare che in questo album Jack compare anche come cantante nei cori rituali accompagnatori, e nel discutibile "Deception blues". E' un disco bizzarro ed ambizioso, che infatti non viene compreso dal vasto pubblico e riscuote pochi consensi nell'ambito jazz.
Il ritorno alla sua band Special Edition è contraddistinto dall'introduzione della voce, usata come strumento a sorpresa: l'ospite speciale è BOBBY MC FERRIN, vocalist fantasioso ed estremo, che colorisce con le sue invenzioni il sound del quartetto. Nasce così "Extra special edition" disco del '94 di transizione, che attraversa atmosfere esotiche e curioso acid-jazz etnico lasciando talvolta l'impressione di composizioni poco ispirate. I momenti interessanti nascono proprio dall'interazione tra la voce camaleontica di Mc Ferrin (usata in chiave percussiva) ed i ritmi polimorfi di Dejohnette; ma alla fine del disco mancano temi che restino impressi nella memoria o creino vera eccitazione.
L'interesse per la musica etnica si concretizza con maggiore profondità e convinzione nell'ultimo album solista di Jack "Dancing with Nature Spirits" (di cui parleremo diffusamente tra poco) che segna il suo ritorno all'etichetta ECM e ai suoni più sparsi e atmosferiti.
Tra le decine di album a cui Jack ha preso parte nella sua carriera, alcuni restano memorabil proprio per il suo drumming inconfondibile: "TIMELESS" di JOHN ABERCROMBIE con JAN HAMMER in cui Jack fa dimenticare l'assenza del basso con il suo uso incredibile della cassa, il doppio "80/81" di PAT METHENY con la coppia killer di sax MICHAEL BRECKER e DEWEY REDMAN, "SONG X" di Metheny e ORNETTE COLEMAN che riaccende la fiamma dell'harmolodic free, "TRIPLICATE" di DAVE HOLLAND strepitoso trio con sax e contrabbasso, "TIME ON MY HANDS" uno dei migliori album di JOHN SCOFIELD e la gemma "UNIVERSAL LANGUAGE" di JOE LOVANO autentico capolavoro da riscoprire. Le partecipazioni più recenti di Jack sono prevalentemente in tandem con il bassista Dave Holland: l'album "The new standard" di Herbie Hancock, il terzo disco solista di Michael Brecker "Tales from the Hudson".
Proprio con Holland ed il caro vecchio amico Abercrombie, nel '94 nasce il progetto GATEWAY: stavolta è Dejohnette a prendere l'iniziativa, pianificando un tour che ha un ottimo esito. Con l'entusiasmo dei tre musicisti, la reunion si prolunga per oltre due anni e due dischi: "Homecoming" è un raffinato album di nuove composizioni, impreziosite dall'alto livello di interplay, "In the moment" è una sorprendente session interamente improvvisata in studio con momenti decisamente interessanti.
Fino dal 1983 Jack è anche membro fisso dello STANDARDS TRIO di KEITH JARRETT: la magica formazione con il pianista e con il contrabbassista GARY PEACOCK ha finora prodotto ben undici album (tra cui due doppi ed un cofanetto live di sei CD). ll livello di interplay e creatività è sempre talmente alto da rendere difficile una scelta dei migliori dischi: forse i più rappresentativi restano "STANDARDS VOL.1" dell'83, "CHANGES" dell'84 (l'unico basato interamente su brani originali di Jarrett), il live "TRIBUTE" dell'89 ed il cofanetto sestuplo "AT THE BLUE NOTE" del '94 che permette di confrontare la grande diversità tra esecuzioni in concerti successivi, al culmine dell'affiatamento e dell'ispirazione.
In questo contesto Dejohnette sublima l'essenza del suo stile, andando al cuore del feeling musicale e accarezzando la batteria con suprema raffinatezza.
L'interplay con il pianoforte di Jarrett ed il contrabbasso elegantissimo di Peacock è ormai magico, telepatico, e infatti questa formazione è universalmente acclamata come il migliore trio di jazz contemporaneo.
Il costante lavoro di affinamento operato in tutti questi anni, attraverso centinaia di concerti, ha portato ad un affiatamento perfetto e totale che rende l'equilibrio fra i tre musicisti assolutamente paritario. Se inizialmente il trio era soprattutto una creatura della star Jarrett, oggi il contributo di Dejohnesse e Peacock è straordinariamente indispensabile: loro due non sono più soltanto una sezione ritmica incredibilmente raffinata, ma sono diventati il prisma trasparente che scompone la luce delle intuizioni melodiche in decine di raggi multicolori.
In questo trio Dejohnette riesce a sublimare la poesia del ritmo, che è fatta di pause sapienti quanto di sottigliezze incantevoli. A lui il pianoforte di Jarrett chiede talvolta di sussurrare o addirittura di "immaginare di sfiorare" con le spazzole: e Jack sta al gioco con piacere evidente, accarezzando i suoi tamburi e i suoi piatti con la grazia inventiva di chi ha un'enorme esperienza. Se le ballad sublimi raggiungono quella magia inafferrabile e vaporosa, è merito anche dei suoi tocchi essenziali e sempre infallibilmente al posto giusto. E nei momenti di swing veloce, Jack mostra solo le unghie senza graffiare, come un leone saggio che non ha bisogno di ruggire per mantenere il dominio della foresta; le sue aperture trasparenti a influenze africane, con deliziosi ritmi rotolanti sui tom-tom in rubato, scorrono sempre sul velluto con un controllo millimetrico della dinamica batteristica.
Dejohnette è apparso in Italia proprio con questa formazione, in uno splendido concerto a Perugia nella scorsa edizione del festival Umbria Jazz.
Incontrato di persona Jack mostra il consueto carattere un pò burbero, forse conseguenza di una tradizionale diffidenza nei confronti della stampa.


Parliamo del tuo ultimo album "DANCING WITH NATURE SPIRITS". Com'è nato il tuo approccio alla musica degli indiani d'America? Hai studiato direttamente le fonti di musica etnica o è stata un'influenza naturale?
Tra i miei antenati c'è una parte indiana, una parte francese ed una parte afro americana. I nativi americani sono una parte delle mie radici multiculturali. Ma questo disco non riflette solo quella matrice indiana, casomai prende il via dalle tradizioni percussive di molti paesi di varie parti del mondo. "MUSIC FROM THE FIFTH WORLD" era molto più radicato alla cultura indiana d'America, anche se fuso all'espressione rock elettrica.

I musicisti che compaiono in questo disco arrivano dal tuo precedente gruppo SPECIAL EDITION?
Soltanto il pianista Michael Cain che aveva suonato con me per sette anni, subentrando al chitarrista Mick Goodrick degli SPECIAL EDITION: con lui c'era già un affiatamento speciale.
Steve Gorn è arrivato proprio per questo progetto: lui aveva studiato flauto bansuri in India, è un profondo conoscitore della musica etnica e dell'improvvisazione basata su scale orientali. Con questa formazione abbiamo fatto anche un tour europeo nel '95, in Sud America ed in Africa. Il mio modo di suonare le percussioni africane sul disco è il risultato del mio incontro con musicisti dell'Africa occidentale durante quel tour. In quel periodo ascoltavo anche molta musica africana che mi ha influenzato: Yossou'n Dour, Baba Maal, Salif Keita, Ali Farka Tourè, Mori Kante.

Questo disco è il primo di una serie dedicata alla World Music?
No, non credo. Attualmente ho un trio più tradizionale con Michael Cain ed il bassista/chitarrista Jerome Harris, abbiamo fatto un tour americano nella prima metà del '96, aggiungendo anche un percussionista in alcune date. Con questa formazione abbiamo in programma per il '97 un disco in studio e un tour estivo.

E la band SPECIAL EDITION non esiste più?
No, è un progetto terminato dopo molti anni di cammino con lineù-up diversi e musica differente: era una band più numerosa e più difficile da mantenere unita, ora preferisco un combo più agile e compatto. Ultimamente ho notato che tutta la musica migliore nasce dai trio: come il trio di Jarrett, il trio Gateway ed ora il mio trio.

E' un format che tu preferisci, anche con strumentazioni differenti?
Con il mio trio abbiamo molte possibilità diverse, perché Michael Caain suona sia il pianoforte sia le tastiere elettroniche, mentre Jerome Harris suona basso elettrico, contrabbasso, chitarra acustica e chitarra elettrica. Perciò possiamo adottare molte combinazioni differenti: dalla musica tipo "PARALLEL REALITIES" (in cui Michael esegue le parti di basso con il synth, mentre Jerome suona la chitarra) al classico trio pianistico. Io suono anche piccole percussioni e Wave-drums Midi in alternativa alla batteria, così possiamo ottenere sonorità di ogni genere. E' un trio compatto ma di potenzialità varie, perché ci alleniamo tra diversi ruoli e situazioni differenti.

Com'è stato suonare con il trio Gateway dopo tanti anni di separazione?
E' un feeling continuo, un progetto aperto. Nel '96 abbiamo fatto parecchi concerti in Giappone ed in Europa, inoltre è uscito un CD di improvvisazioni spontanee che è molto diverso dalla nostra solita musica ("In the moment").

Con Dave Holland formi una delle più famose sezioni ritmiche jazz: cosa rende così magico il vostro sodalizio?
E' una alchimia nata fino dal primo momento in cui abbiamo suonato insieme, ed è in continua crescita ogni volta che ci riincontriamo. Tra noi c'è energia e feeling: mi piace il suo concetto di ritmo, spazio ed armonia, è molto naturale suonare con lui.

Avete suonato meravigliosamente sul nuovo album di Michael Brecker...
Ah, quello con Metheny e Mc Coy Tyner! Divertente!

E' stato lasciato molto spazio alla spontaneità?
Gli arrangiamenti erano molto precisi, ma c'era sempre un buono spazio per improvvisare. Mi piace molto lo stile d'autore di Michael ed è stato bello suonare con Pat, Mc Coy e Joe Calderazzo: sono ottimi musicisti ed abbiamo una buona familiarità.

Credo che questa atmosfera di amicizia abbia caratterrizzato anche la registrazione di "The New Standard" di Herbie Hancock...
Sì, è stata una session molto brillante e amichevole, perché Scofield e Brecker sono vecchie conoscenze. Con la formazione del disco abbiamo fatto anche tre concerti speciali in Giappone.

Ne uscirà un album dal vivo?
Non credo perché la musica di base è la stessa del disco.

Com'è cambiato il sodalizio con Keith Jarrett e Gary Peacock dopo tanti anni insieme nello Standards Trio?
E' sempre interessante, ne scaturisce sempre qualcosa di nuovo, non è mai noioso nè ripetitivo. E questo è il motivo per cui continuiamo a suonare insieme: non sappiamo mai in anticipo cosa succederà, la nostra musica è sempre una sorpresa anche per noi. Il trio è interessante perché non usiamo arrangiamenti, ma adoperiamo gli standard come base di partenza per le nostre improvvisazioni; talvolta suoniamo improvvisazioni totalmente libere, partendo da un semplice spunto di qualcuno di noi. Anche il mio trio si basa spesso sulle improvvisazioni, oppure su arrangiamenti piuttosto liberi che si possono evolvere in modo spontaneo: quando suoni con musicisti di cui ti fidi, puoi lanciarti in avventure di ogni genere partendo da un semplice ritmo o da una breve frase melodica. Anche alcune composizioni piuttosto complesse talvolta nascono da improvvisazioni spontanee.

Il tuo modo di usare gli "stop and go" negli assoli (come nella tua versione di "Straight no chaser" di Monk) è uno stile che prediligi e stai approfondendo in questi tempi?
Mi viene spontaneo, non prestabilisco mai quando usarlo. In questo caso è il brano stesso a richiamare quello stile, il tema di Monk è uno splendido esempio di efficacia dell'intermittenza: quando inizio l'assolo penso a Monk, che era un uomo pieno di humor, e quindi uso quel modo buffo di segnare il ritmo fatto tutto di false partenze e accelerazioni.

Nel trio di Jarrett suoni spesso con le spazzole in modo molto soft. E' uno stile dettato dal tocco morbido di Jarrett o ti è congeniale?
Amo molto suonare con le spazzole, è una parte della musica importante da esplorare. Anche nel mio nuovo trio suono spesso con le spazzole, mentre con i SPECIAL EDITION non era possibile trattandosi di musica ad alta energia. Con il mio trio attuale la dinamica è più estesa, passiamo da pieni robusti a parti sussurrate.

Cambi l'impostazione della tua batteria secondo la band con cui suoni?
Basilarmente è lo stesso drum-set che accordo in modo differente: vario il tuning dei tom e dei timpani da medio a più basso, per accordarmi meglio all'abbinamento con il pianoforte e con gli altri strumenti.

Nel tuo drum-set Sonor hai qualche attrezzo particolare costruito su tue specifiche?
Le pelli dei tamburi Aquarian e la linea di piatti della Sabian firmata Jack DeJohnette Encore Series, disegnata da me con i tecnici della Sabian. Abbiamo lavorato sulla misura e sui materiali dei piatti per ottenere certi suoni particolari; abbiamo creato Crash da 13", 16", 17" e 18", Ride da 20" e 21", Chinese da 20" e Hi-hat da 14". Questa è la seconda serie firmata da me e ho anche le mie bacchette firmate per la Vic Firth.
Recentemente mi sono fatto costruire dalla Sonor una cassa con diametro da 16 pollici con una profondità di 18, una proporzione che usavo quando suonavo con Miles Davis.

Ho notato i piccoli piatti allineati in verticale, sono intonati in una scala?
Sono per suoni più delicati, si chiamano crotali e non seguono una scala precisa ma hanno un timbro ricchissimo di armonici che mi piace molto.

Il tuo progetto di qualche anno fa la "PARALLEL REALITIES" con Hancock, Metheny e Dave Holland avrà un seguito?
Non lo so, so solo che sta per uscire la ristampa del CD e forse potremmo fare un altro tour ma non prima del '98; per tutto il '97 sono impegnato con la mia band e con il trio di Keith Jarrett...

Hai in programma la partecipazione speciale ad altri dischi come quello di Michael Brecker?
Ho in uscita due libri di musica: uno è intitolato "Jack DeJohnette Songbook" con gli spartiti di 15 composizioni scelte da diversi periodi della mia carriera, l'altro è dedicato ai batteristi con trascrizioni e suggerimenti.

Recentemente hai fatto qualche video per batteristi?
Sì, uno intitolato "My Jazz Drumming" che spiega con esempi la mia tecnica batteristica. C'è un altro batterista che mi fa delle domande ed io rispondo con esemplificazioni pratiche. Ho fatto anche un video per la DCI "Jazz Drum Legends vol. 2" con me, Roy Haynes e Louis Bellson che parliamo di famosi batteristi dagli anni '50 ai '70 analizzando la loro influenza sul jazz e mostrando clip d'epoca.
Verrà ristampato anche l'altro mio libro "Modern jazz drummer" con varie trascrizioni di mie performance sui dischi e lo studio delle mie inversioni sui piatti: è un libro molto valido uscito 15 anni fa per una piccola casa editrice, che ora avrà una diffusione più estesa con il nuovo editore.

La Columbia ha annunciato la pubblicazione di un cofanetto di CD con incisioni inedite di Miles Davis di fine anni '60 inizio '70...
Per loro è solo un modo di spillare soldi...

Credi che ci sarà materiale valido in cui suoni anche tu?
So che stanno uscendo alcuni video registrati dal vivo che dovrebbero essere interessanti... Vorrei solo che fossero così onesti da pagare i diritti anche ai musicisti che vi appaiono, anziché trarne profitto solo per la casa discografica. Anche i bootleg sono una piaga per gli artisti che vengono sfruttati senza avere alcun compenso; per quanto riguarda il materiale Columbia non ho ancora ricevuto nessuna comunicazione da loro.

Ma quale materiale inedito vorresti vedere pubblicato? Qualcosa proveniente dalla session di "Bitches Brew" o di "Live/Evil"?
Non saprei dire, perché non ho mai potuto riascoltare gli altri nastri relativi a quelle session, a parte quelli già utilizzati per quei dischi. Ho suonato così tanto con Miles e ho prodotto talmente tanta musica nella mia carriera, che non riesco proprio a ricordare qualche particolare momento fugace senza averlo mai riascoltato.

Le session di "Bitches Brew" con tre batteristi, due bassisti e tre piani elettrici devono essere stati una specia di uragano... Era difficile orientarsi in una formazione così densa?
No, era molto eccitante, divertente. Miles conduceva tutti i musicisti con gesti improvvisi: abbiamo registrato per varie ore, provando soluzioni differenti. Poi in sala di mixaggio hanno tagliato e montato il tutto.

Sembra quasi che sia stata un'esperienza speciale più per gli ascoltatori del disco che per voi musicisti...
Per me era normale, perché ero abituato a quell'alto livello di creatività: con Miles era sempre un'esperienza d'alto livello e quindi anche da quella session mi aspettavo risultati pregevoli fin dall'inizio.

Pensando alla tua carriera, quali sono i momenti indimenticabili che ami rivivere col pensiero?
Ho suonato in due occasioni con John Coltrane: a Chicago e per cinque sere a New York, nella band con Pharaoh Sanders, Jimmy Garrison e Raschied Alì. Poi tutto il periodo con Miles, il quartetto di Charles Lloyd, la band di Betty Carter, il gruppo di Abbey Lincoln, il trio di Bill Evans. Poi ricordo con piacere le mie band NEW DIRECTIONS e SPECIAL EDITION, oltre naturalmente al trio di Keith Jarrett.

di Massimo Bracco

© 2016 Il Volo Srl Editore - All rights reserved - Reg. Trib. n. 115 del 22.02.1988 - P.Iva 01780160154