PFM Emotional Tattoos il nuovo capitolo discografico (ri)porta la band italiana oltre i confini!

Gianmaria Scattolin 01 dic 2017
La Premiata Forneria Marconi festeggia l’autunno di questo 2017 con l’uscita di un nuovo album, Emotional Tattoos. Ne parliamo in maniera approfondita con Franz Di Cioccio e Roberto Gualdi, il tandem ritmico della progressive rock band italiana considerata a tutt’oggi un intramontabile riferimento nel mondo…

Un lavoro in studio che presenta a livello internazionale 11 brani inediti, frutto della magistrale esperienza di Franz Di Cioccio, Patrick Djivas e compagni che, dopo Stati di Immaginazione (2006) e al netto di pubblicazioni sperimentali come PFM in Classic, da Mozart a Celebration (2013) e di 11 anni di tour in giro per i cinque continenti, si ritrovano a comporre nuove canzoni dai contenuti profondi e cariche di tutta l'energia sonora tipica della PFM.
Emotional Tattoos (InsideOut Music), sarà distribuito in tutto il mondo, previsto sia nella versione cantata in italiano che in quella cantata in inglese.

Emotional Tattoos è un compendio di brani che ha portato la band a esplorare nuovi territori artistici e diversi generi musicali, un viaggio che ha visto tutti i musicisti della PFM impegnati a tradurre in musica concetti filosofici senza tempo, e riflessioni che fotografano con ...
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info intervista

PFM
Franz Di Cioccio
Emotional Tattoos
puntuale precisione la vita dei nostri giorni: un nuovo album in perfetto stile PFM che, come traspare dalle parole di Thomas Waber (responsabile dell'etichetta e responsabile A&R di InsideOutMusic), ha favorevolmente impressionato anche tutto l'entourage della band: “siamo davvero entusiasti di lavorare con questa leggendaria band italiana. La loro passione e il loro fuoco bruciano ancora come agli esordi…”

Ed è proprio Franz che, tra i suoi mille impegni, trova il tempo di fare quattro chiacchiere con noi e ci racconta come sono andate le cose...

PFM 2017
Franz Di Cioccio (voce/batteria) – Patrick Djivas (basso) – Roberto Gualdi (batteria) – Lucio Fabbri (violino) – Marco Sfogli (chitarre) – Alessandro Scaglione (piano/Hammond/Moog) – Alberto Bravin (tastiere/cori)


Partiamo dal titolo del disco: Emotional Tattoos. Un segno permanente sulla pelle che definisce per sempre una parte di te, emozioni tatuate... Cosa vuol dire per te questo titolo?
Il tatuaggio sulla pelle, quello fatto con l'inchiostro, ti definisce soprattutto esteticamente, è un tratto che può anche descrivere per così dire le tue appartenenze o la tua voglia di distinguerti, spesso è un simbolo o un modo per cercare di mostrare la propria unicità, mentre la musica ti segna in modo completamente diverso: senti le sue vibrazioni sulla pelle ma poi ti tatua dentro. Sono emozioni forti, indimenticabili, indelebili... I tatuaggi emotivi rispetto a quelli fatti con l'inchiostro sono questi.

Quindi siete voi i tatuatori e il tatuaggio sarà indelebile sulla nostra anima di ascoltatori e fan della PFM...
Sì, è questo... Tu ascolti il disco e io penso e spero che la musica ti lasci dei segni.

Sulla copertina dell’album siete tu e Patrick alla guida di una astronave diretta verso un nuovo mondo... che mondo è?
E’ il mondo della PFM di oggi. Un posto dove si ritorna a trovare il tempo di ascoltare la musica per davvero, a viaggiare con la musica... Il disco, per esempio, si apre con Il Regno, un brano che dura più di 7 minuti. E' un pezzo che trovo interessantissimo e che va ascoltato dall'inizio alla fine: si può dire che abbia la consistenza di un bolero senza esserlo, si apre in modo sommesso e leggero per poi svilupparsi in un crescendo continuo di arrangiamenti fino ad esplodere nella parte finale con un pieno d'orchestra imponente. Parla del mondo, del nostro pianeta. Un regno che va rispettato per il bene di tutti noi e, senza retorica, la musica ti accompagna nel viaggio rifacendosi agli stilemi di PFM che da sempre ha mescolato l'immaginifico al sociale creando musica che potesse rappresentare emozioni e concetti con la giusta forza e espressività.

Dopo tanto tempo, un nuovo album di brani originali in studio... com'è andata la realizzazione?
I pezzi li abbiamo scritti Patrick ed io in collaborazione con Marco. Sono tutti temi che raccontano delle storie e sia la parte strumentale che i testi hanno una grande importanza, quindi il grosso del lavoro si è sviluppato soprattutto nella realizzazione degli arrangiamenti intorno alle melodie. Abbiamo lavorato molto in fase di pre-produzione nello studio di Patrick Djivas. Patrick è bravissimo, sono anni che lavoriamo insieme, così i pezzi sono venuti fuori con naturalezza... Ci siamo quindi ritrovati con tanti brani, uno diverso dall'altro ma che funzionavano tutti! Poi, una volta pronti, siamo andati a registrare presso il Metropolis Studio di Milano. In questo disco abbiamo messo tutto quello che è la PFM e anche un po' di più... L'album si chiude con Big Bang, un inno alla libertà dedicato a chi, in preda ad un big bang emotivo, lascia tutto e se ne va senza più preoccupazioni, il tema era: non ho un piano e improvviserò... Ma noi il piano ce l'avevamo e, per l'occasione ha improvvisato Stefano Bollani! [ride]

Voi avete una incredibile esperienza alle spalle e avete registrato tanti dischi in maniera “analogica”... Oggi la tecnologia consente di lavorare in modo molto diverso. Come hanno influito questi cambiamenti nel processo di composizione e nella realizzazione dell'album?
In realtà questo è un album direi… fatto a mano... Suonato e prodotto senza fare troppo affidamento su artifizi elettronici di sorta. Ovviamente abbiamo usato il click per la maggior parte delle registrazioni... Ma non tutte, alcuni pezzi sono completamente liberi. Un discorso diverso vale per la pre-produzione dove la tecnologia ti aiuta tantissimo, specialmente in fase di arrangiamento e stesura dei brani: aggiungi una parte qui, rivedi una linea di chitarra o di tastiere, torna indietro, puoi fare un sacco di esperimenti... Tutto più semplice!

C’è qualche brano che ha richiesto particolari attenzioni in studio?
No, in realtà l'unica cosa che abbiamo per così dire lavorato più del solito è stata la voce. Ci siamo concentrati parecchio sull'equalizzazione e sugli effetti che potessero conferire alla voce il giusto colore timbrico rispetto a quello che racconta il cantato. Un lavoro molto intenso anche perché il disco esce sia in italiano che in inglese e i testi sono tutti stati pensati per reggere perfettamente la ritmica delle linee melodiche in entrambe le lingue.

Interessante, dicci qualcosa in più...
Se ci pensi, l'italiano ha una struttura di sillabe e vocali che si presta soprattutto alla melodia, è in qualche modo più adatto al legato o alle note lunghe, mentre l'inglese dispone di tantissime parole tronche, corte, decisamente più vicine alla ritmica, tant'è che si parla di canzoni all'italiana quando il tratto melodico è preponderante, mentre la lingua inglese è naturalmente più vicina ritmo staccato. Quindi il lavoro che ha condotto alla scelta di ogni parola è stato molto scrupoloso... Mi sono anche avvalso di un coach madrelingua inglese! Siamo anche stati attenti al significato dei testi e alla loro credibilità in entrambe le lingue. Spesso tradurre un testo letteralmente dall'italiano all'inglese non funziona... Un concetto che in italiano ha una certa valenza in inglese potrebbe anche non averla, diciamo che un testo in inglese deve affrontare tematiche più internazionali, per esempio: Il Quartiere Generale ha un testo che in italiano fotografa una realtà di opportunismo e chiacchiericcio fini a se stesso prettamente nostrana che in USA o in Inghilterra non potrebbe essere recepita all stesso modo, così abbiamo trasformato il senso del testo in qualcosa di diverso, nello specifico il Central District si riferisce alle contraddizioni e i paradossi della società, dagli abusi della medicina ai cibi ogm, i veleni, l'illusione dell'eterna giovinezza... Ma in entrambi i casi, la melodia e il ritmo scorrono perfettamente insieme alla musica.

C’è un brano del disco che senti particolarmente vicino?
E' molto difficile sceglierne uno, sono tanti anni che non scriviamo pezzi originali e ci abbiamo messo tutti noi stessi. Tuttavia, se dovessi sceglierne uno, credo che La Danza Degli Specchi sarebbe quello giusto: è un pezzo che ha dentro tutto ciò che ci rappresenta, a partire dall'inizio della nostra carriera artistica fino ad arrivare a oggi. Tante sonorità diverse, colpi di scena musicali... E' il sound della PFM! E’ come rivedere tanti me stessi che corrono avanti e indietro nelle epoche in cui ho vissuto.

La PFM è una band che ha una storia importantissima, ricca di episodi ed eventi eccezionali: quali sono per te in particolare i momenti più importanti che possono definire la storia della PFM, gli step che hanno segnato in un modo o nell'altro il percorso della band e, se vogliamo, anche quello della tua vita?
Beh, la PFM è la mia vita... Sicuramente l'inizio della band è stato un momento importantissimo, stavamo facendo qualcosa che non era mai stato fatto, una nuova avventura che dopo i tanti successi ottenuti come session-man nell'ambito della discografia italiana mi spalancava nuove porte e al tempo stesso mi metteva alla prova. Poi sicuramente l'esperienza all'estero e trovarsi alla pari con i grandi nomi della musica internazionale... La prima scrittura all'estero l'abbiamo ottenuta facendo un provino di fronte a Greg Lake a Londra ma il concerto che più mi ha segnato è senza dubbio quello alla Royal Albert Hall dove abbiamo ricevuto la visita della Regina! Ma in realtà ogni tappa della band è importante. Sono tutti momenti che rimangono impressi indelebilmente nell'anima... Sono Emotional Tattoos!

All’inizio della tua carriera avrai sicuramente avuto dei punti di riferimento e ti sarai ispirato o fatto influenzare da altri musicisti... Ora che sei diventato tu, un punto di riferimento per tanti artisti, a chi ti ispiri? Quali sono i musicisti o le band che che ti influenzano di più?
In realtà oggi non è cambiato un granché rispetto ad allora. A me piace tutta la musica e quando sento una cosa che mi piace... mi piace e basta! I Led Zeppelin mi davano enormi emozioni allora e lo fanno ancora oggi che ascolto i Nirvana, i Muse, i Cold Play e anche molte cose jazz... suonate però da quelli che suonano bene! Io non sono un jazzista e quindi le mie cose jazz non mi piacciono! [ride]

Cos'è per te il prog?
Per me il prog è uno stato di liberazione. Significa progredire nell'ambito del linguaggio rock sperimentando in continuazione... Una volta registrato un brano prog l'avventura non finisce, anzi è solo l'inizio perché poi dal vivo la sperimentazione continua, il brano ogni volta acquisisce nuove forme espressive e nuovi colori emotivi. Questa è stata la chiave che ha definito il carattere della PFM e della sua musica: ci lasciamo sempre delle porte aperte per poter improvvisare. Per di più la band di oggi è una squadra di musicisti di altissimo livello che può interagire musicalmente in molti modi diversi e riesce sempre a cogliere l'attimo! Naturalmente anche nell'ambito del prog non si può restare fermi e suonare sempre le stesse cose, se no non è più progressive ma... Regressive.

Com'è cambiato il mondo della musica dagli anni settanta ad oggi?
Le cose sono cambiate molto. Il mondo della musica è diventato più liquido... Si ascolta con meno impegno, spesso sembra che le canzoni scivolino via. E' facile farsi catturare da qualche evento sporadico o espediente mediatico, un po' come accade con gli esaltatori di sapore nei cibi preconfezionati: basta mettere un pizzico di sale in più e tutto sembra più saporito, ma la sostanza non è proprio la stessa... Si fatica a riconoscere l'autenticità dei progetti. Naturalmente c'è ancora la prova live che non perdona e non lascia passare chi non è all'altezza. Poi, per fortuna sta ritornando il vinile che, come pregio principale, ha proprio quello di costringerti a trovare del tempo per ascoltare la musica... Trovare il tempo per godere della musica!

Nuova etichetta, nuovo disco, nuovo tour... le cose vanno benissimo!
Sì, sono contento. Siamo entrati nel roster di una etichetta internazionale e questo vuol dire molto. La InsideOut Music ha un parco artisti molto importante e siamo fieri di essere entrati nella loro squadra. Il tour è assai intenso e ricco di date: in Italia, poi in Olanda e di nuovo in Italia, per poi volare in Giappone, tornare in Italia e poi via in Brasile, Cile, Perù, Messico, USA... Insomma, non ci facciamo mancare niente!

C'è qualcosa che vuoi dire ai musicisti che stanno iniziando a intraprendere la loro carriera artistica?
Una cosa sola: suonate ciò che siete e non quello che volete sembrare!

FRANZ DI CIOCCIO & ROBERTO GUALDI
Questions & Answers

Quando hai iniziato a suonare?
Franz – A 14 anni, suonavo sui fustini del Dash ma si rompevano subito perché picchiavo troppo forte. Non avevo uno strumento e così per suonare m’inventai una forma di promozione, una specie di drum crowd funding: mi facevo prestare pezzi di batteria da amici batteristi ricchi e in cambio fornivo loro numeri di telefono di band in cerca di musicisti e l’elenco dei té danzanti pomeridiani dove poter suonare. Trovavo un tom qua, un piatto là, una cassa jazz... e così mettevo insieme un kit più o meno completo. Erano batterie un po’ raffazzonate ma sufficienti per riuscire a suonare nelle feste studentesche.
Rob – A 12 anni con i fustini come tom, latte dell’olio come piatti e una valigia come rullante. Batteria vera a 14 anni, dopo la promozione della terza media.

La prima batteria?
Franz – Holliwood by Meazzi Blue Sparkle, i con brillantini. Convinsi mio padre a regalarmela con la promessa della promozione a giugno. Invece mi bocciarono. Una vera tragedia ma ormai era tardi per riportala al negozio. L’anno dopo cambiai scuola, ma avevo già deciso che il avrei fatto il musicista… il diploma non l’ho mai preso.
Rob – Una Stage arancione metallizzato.

Il primo disco che hai comprato?
Franz – Apache degli Shadows
Rob – Zenyatta Mondatta dei Police

Il disco che hai ascoltato di più?
Franz – Sono tre a pari merito: Near The Beginning (Vanilla Fudge), Wheels of Fire (Cream) e Roxy and Elsewere (Frank Zappa)
Rob – Seconds Out dei Genesis

Il disco che avresti voluto suonare tu?
Franz – Anche qui tre a pari merito: You Keep me Hangin’ On (Vanilla Fudge), My Generation (Who) e Whola Lotta Love (Led Zeppelin)
Rob – So (Peter Gabriel)

Il tuo batterista-eroe appena hai iniziato a suonare?
Franz – Gene Krupa!
Rob – Stewart Copeland!

I tuoi cinque batteristi preferiti?
Franz – Ginger Baker, John Bonham, Mike Giles, Carmine Appice e Chester Thompson per l’imprinting rock, e poi tutti quelli di generi diversi a cui ho “rubato” qualcosa.
Rob – Stewart Copeland, Manu Katché, Steve Gadd, Jeff Porcaro, Terry Bozzio. Una menzione particolare a Simon Phillips e Gavin Harrison che seguo da sempre e che negli anni sono diventati amici.

Il concerto più bello che hai visto?
Franz – Due a pari merito: Prince a Milano con Sheila E, ed il Born in USA di Bruce Springsteen, sempre a Milano.
Rob – The Wall di Roger Waters.

Highlight della tua carriera…
Franz – Il concerto a Londra 1975 alla Royal Albert Hall con la Regina madre sul palco alle prove!
Rob – Capodanno 1999/2000 con Lucio Dalla a Napoli e diretta televisiva. Ero nel gruppo da un mese, era tutto fantastico... Due mesi dopo ero all'ospedale e ci sono stato un mese intero. Morale? Apprezziamo il presente che è l'unico vero dono che abbiamo.

Strumento preferito a parte la batteria?
Franz – Pianoforte e vibrafono.
Rob – Pianoforte

Studio di uno strumento e internet. Favorevole o contrario e perché...
Franz – Sono favorevole e un po’ contrario. Favorevole, perché è un buon mezzo per lo studio moderno con la possibilità di avere tutto a portata di click, e contrario se non è affiancato da una qualsiasi esperienza live perché è quella ti forgia in modo indelebile.
Rob – Internet può essere l'enciclopedia definitiva o un deserto di nulla dove perdersi. E’ il libro con tutte le risposte... ma bisogna avere le domande giuste. Positivo ma guidato da un maestro che ti aiuti nel percorso. Altro il discorso: tutti i video/cameretta in solitudine... spostano l'obiettivo del fare musica... basta! Dopo aver studiato spegnete il computer, fate una band e chiudetevi in saletta con la presunzione di fare la musica che non c'è...

Come rimanere motivati e in piedi con una lunga carriera…
Franz – Se sei nato sui monti dell’Abruzzo e vieni a Milano e 4 anni, allora cresci con il senso che nella vita niente sarà facile. Tenacia (sarebbe meglio dire testardaggine) ed entusiasmo sono sempre stati nel mio DNA; il resto si chiama vita, quella che, in fondo, ti insegna tutto. Basta saperla interpretare.
Rob – Cercare di essere coinvolti in progetti che musicalmente ci appartengono. Cercare di suonare con chi apprezza il nostro stile senza stravolgerci troppo. Cercare di avere nuovi progetti che ci facciano crescere ma, soprattutto, evitare Esauriti, Vanitosi, Egocentrici, Maniaci del Controllo ed altri fenomeni preziosi...

20 anni insieme… uno accanto all'altro!
Franz – Stiamo bene, la coppia non scoppia perché c’è lealtà e complicità ritmica e creatività istintiva.
Rob – In effetti... un matrimonio... con 4 fasi. Idolatria (lui era il mio eroe e a 14 anni giravo con la sua fotografia nel portafoglio). Ansia Metafisica (quando iniziai nel ‘97 psicologicamente era veramente tanta la pressione di suonare con i propri idoli e musicalmente la PFM è una corazzata che, per essere governata, richiede spalle grosse ed esperienza). Maturità ed Appartenenza (ad un certo punto, complice anche il passare degli anni e l'aumentare della mia esperienza, ho iniziato a sentirmi a mio agio e sentire di poter dare un mio contributo alla band). Gioia e complicità (il nuovo corso, con la nuova formazione e la batteria doppia… tutto è stato portato ad un ulteriore livello di complicità e sintonia).

Quale è il miglior pregio dell’altro?
Franz – Rigore e tenacia.
Rob – Entusiasmo e determinazione. E’ un vero condottiero, con un'energia inesauribile…

Qual è il peggior difetto dell’altro?
Franz – Si gasa alla fine della performance. E sorride.
Rob – Entusiasmo e determinazione... La spinta che gli permette di raggiungere traguardi infiniti talvolta lo porta a non vedere gli ostacoli nel suo cammino... tipo cavi, monitor, muri, eccetera!

Un consiglio per le nuove generazioni?
Franz – Voi siete i batteristi di domani. Cosa state aspettando…. che vi dicano che siete bravi?
Rob – Divertitevi! Vivere la musica è uno dei modi più belli e appaganti di vivere la vita ed una occasione meravigliosa di crescita e miglioramento. Na non annacquate questo dono con ansia di successo, like, visualizzazioni, ecc. Il successo può arrivare o no. Non ricordo chi disse “il successo è un incidente di percorso!”… la vera gioia deve essere il viaggio e non l’arrivo.

Cosa avresti fatto se non avessi fatto il musicista…
Franz – Attore, scrittore, pittore … qualcosa con la desinenza finale in “ore” ma sempre dentro la sfera artistica. Sono un Acquario. Credo sia nella mia indole.
Rob – Avrei lavorato in una libreria o avrei fatto il maestro di Yoga. O anche il camionista, come vuole la tradizione di famiglia.


UNA BATTERIA A DUE PIAZZE!
Com’è nata questa idea, Rob?
In occasione del nuovo lineup della PFM, Franz mi ha chiesto di pensare a qualcosa per suonare assieme, ma senza l’impiego di due batterie sul palco, come avevano fatto lui e Walter Calloni caratterizzando la PFM degli anni ‘80… Mi ha chiesto di pensare a uno strumento diverso, tipo una batteria doppia, una batteria a due piazze.

L’hai progettata tutta tu?
In realtà è stata un’idea sviluppata a quattro mani. Franz mi ha spiegato la sua idea di avere una batteria unica, con magari la seconda cassa più piccola e gli octoban a chiudere un lato, creando come colpo d’occhio, una specie di onda. Sono quindi partito dal set che utilizzavamo normalmente e, usando le monete da 5 centesimi per fare i cerchietti precisi, ho fatto il disegno con prospettiva dall’alto, di tamburi e piatti e di cosa avrei potuto aggiungere. Il concetto base era che il floor tom a sinistra, sotto all’hi-hat del set principale, fosse anche il floor del secondo set e che il secondo set fosse più jazzy e percussivo, con misure più piccole e piatti più scuri.

La realizzazione è avvenuta in collaborazione con i marchi di cui sei endorser?
Assolutamente sì. Mogar Music, che è il distributore italiano di Tama e Zildjian, ha dato ha apprezzato molto l'idea e ci ha permesso di assemblare con facilità il materiale del secondo set, mantenendo la medesima finitura dei tamburi. Riguardo alle pelli, abbiamo utilizzato le Evans, importate da Bode Music Gear… e che sa risolvere ogni momento di SOS in tutta l’Italia! Colgo l’occasione per ringraziare tutti coloro che si sono prodigati in questo progetto: Mauro Antonazzi e Mattia Signò di Mogar Music, e Stefano Mirra e Giorgio Paganini di Bode Music Gear. Un supporto impeccabile ed un grazie per la loro amicizia…

Misure tamburi e dettagli tecnici? Tutte scelte che si adattano al tuo stile e allo stile di Franz? Le differenze più significative?
L'idea era ovviamente di avere timbri di tamburi e piatti differenti e complementari tra i due lati del set ma di pensarlo come un set unico. La cosa interessante è che questo set non assomiglia ne alla consueta disposizione che usa Franz, ne a quella che uso io, ma è diventata la nostra batteria PFM!

Come reagisce quando suoni da solo rispetto a quando suonate in due?
In realtà Franz non mi ha mai chiesto di ripetere in modo identico le sue parti, tiene più al fatto che il portamento e lo spirito siano rispettati, piuttosto che dettagli o fill uguali ai suoi. Mi ha sempre detto di suonare le sue parti ma con la mia testa e le mie mani. Da parte mia, tendo a mantenere un approccio solido ed essenziale verso la musica e sono abituato a cercare di supportare i cantanti in modo da permettere loro di esprimersi nella maniera più rilassata possibile. Quando Franz suona e io mi inserisco nelle sue parti, l'idea è di non doppiare mai le parti ma di inserirsi con timbri e disegni diversi e complementari, creando loop con spazzole o octoban o disegni sull’hi-hat se lui suona il ride o viceversa. È stato interessante chiedere a Gavin Harrison l’approccio usato nel double drumming dei King Crimson, quando c’erano soltanto lui e pat Mastellotto: la sua risposta è stata che più che pensare a due batteristi, è necessario pensare ad un batterista con 4 mani e 4 piedi e, quindi, creare disegni più completi. L'idea è proprio questa.

Avete dovuto sottoporre i drum tech a un training particolare per la gestione del drumkit live?
In realtà i nostri fidati Francesco Flagiello e Carmine DeVita hanno preso tutti i loro appunti e, salvo micro aggiustamenti, riescono a farci trovare tutto in ordine sul palco... E di roba da montare, ce n’è tanta!

TAMA Starclassic Performer B/B Indigo Sparkle Burst
(da sinistra a destra) – 4 Octoban Low – Snare Starclassic Performer B/B 14”x5” – Cassa 16” – Tom 10” – Tom 12” – Floor 16” – Snare Starphonic Steel 14”x6” – Cassa 22”x20” – Tom 12” – Tom 13” – Floor 14” – Floor 16”

ZILDJIAN Cymbals
FX Spiral Stacker 12” – Crash K 18” + Spiral Staker 10” – Hi Hat K 14” – Ride K 20” – Hi Hat Quick Beat 14” – Crash A Custom Rezo 15” – Crash A Custom Rezo 16” – Crash A Custom Rezo 17” – Ride 20” (storico piatto anni ‘70 presente in “Live in USA” e molti altri dischi della PFM ) –
China Oriental 20” – Crash A Custom Rezo 18”

EVANS Drumheads
Cassa 16” Emad – Cassa 22” EQ3 – Rullanti Genera Dry – Tom Battenti G2 Sabbiate – Tom Risonanti Resonant Black

PERCUSSIONI
Chimes, Tamb, Sheker e piccole percussioni assortite…


ROB intervista FRANZ

Parliamo di Franz Di Cioccio sessionman. Hai registrato parecchi dischi importanti con Battisti, Celentano ed altri, in anni in cui la norma era arrivare in studio e trovare l’arrangiatore che dava le parti a tutti e suonare tutti assieme leggendo. Ti chiamavano per il tuo stile moderno? E poi vorrei capire come aggiravi la questione lettura per memorizzare le parti ed interagire con l’arrangiatore…
Franz – Non mi è mai piaciuto suonare leggendo le parti. All’epoca ritenevo più costruttivo concentrarmi sull’interazione tra i musicisti e l’approccio creativo del brano piuttosto che sull’accompagnamento formale. Davo un’occhiata alla parte e una volta memorizzati gli obbligati, chiedevo di poterla interpretare liberamente durante le prime prova d’insieme. Generalmente le idee che nascevano venivano apprezzate perché i brani acquisivano una maggiore personalità. Gli arrangiatori che mi chiamavano cominciarono a fidarsi delle mie idee ritmiche e alla fine non scrivevano più le parti perché “de visu” tutto funzionava alla grande. Così nacquero il valzer rock de “La coppia più bella del mondo” di Celentano, “Insieme” di Mina e tutti i maggiori successi di Battisti dal 1969 al ‘71 tra cui “Mi ritorni in mente”, “Emozioni”, “La canzone del sole”…

Hai sempre creato parti di batteria molto originali e caratterizzanti. Da cosa parti quando approcci un nuovo brano?
Franz – Per principio, ascolto ma non preparo nulla perché ricerco sempre l’istant karma. Generalmente parto dalla melodia e seguo con attenzione il racconto del testo e la linea di canto. A parte il ritmo che scorre nel corpo, suono libero da schemi, attento a cercare spazi dove inserire figurazioni che appoggino sui momenti sensibili del brano. Quando in un punto del brano sento qualcosa che mi emoziona, colgo quell’attimo e libero la creatività che poi rimane sulla registrazione. Quel punto, riascoltato in seguito, diventa una caratteristica e cattura l’attenzione dell’ascoltatore: tutto questo mi fa sentire felice del risultato. In “Impressioni di Settembre”, ad esempio, ci sono degli appoggi che hanno dato un imprinting al brano perché sottolineano il contrasto fra il vigore della batteria e la dolcezza del testo.

Concentrati e cerca di immaginare il giovane batterista Franz Di Cioccio di 20 anni, con il suo approccio creativo, artistico e accademicamente anarchico ma nato nel 1997. Secondo te cosa potrebbe fare per cercare esprimersi come hai fatto tu senza soccombere?
Franz – Di Cioccio oggi? Credo avrebbe la stessa vocazione di allora. Sarebbe un aggregatore di musicisti, al quale piacerebbe condividere idee e progetti seguendo il principio “suona quello che sei e non quello che vuoi sembrare”. E per finire, penso che suonare allo specchio dell’autoreferenza non è divertente come stare al centro di una band. Così puoi esplorare tutta la musica che vuoi e non soccombi.

FRANZ intervista ROB

Perché generalmente si comincia a suonare la batteria con la mano pesante? So che ti piacevano i Sepultura, ma con il passare degli anni si finisce per apprezzare un po’ tutti gli stili diventando più onnivori del ritmo… Come la vedi?
Rob – Interessante considerazione. Credo che dipenda dalle fasi della vita. L’adolescente deve tagliare il “cordone ombelicale culturale” ed è in una fase della vita di grande energia repressa da proiettare verso l’esterno. Ogni decade ha avuto il suo genere per pestare i piedi a terra: Elvis, Hendrix, Rolling Stones, Sex Pistols e il punk, Nirvana e il grunge e, ovviamente, il metal in tutte le sue declinazioni. Con il passare degli anni cambiano i bioritmi, cala il Bpm e si apprezzano altre cose. A parte la predisposizione naturale, in generale noti anche che i giovani musicisti sono portati a spingere sul tempo, mentre anni dopo diviene più naturale suonare più appoggiati.

Dal vivo è più importante sapere a memoria la parte, o cavalcare l’onda del ritmo sfidando il pericolo dell’ammucchiata sonora?
Rob – Per 3 anni ho suonato a Zelig nell’orchestra di Paolo Jannacci, insieme a Stefano Bagnoli ed eravamo esattamente così. Io ossessivo verso ogni dettaglio e lui spericolato. Penso ci sia un fattore oggettivo ed uno soggettivo. Il carattere della persona è molto determinante per l’approccio al live e, ovviamente, il contesto. Ci sono zone più delineate ed altre che permettono maggiore libertà. Personalmente, se conosco le regole sono anche più sereno nell’infrangerle: quindi parti a memoria, tutto sotto controllo ma, se scatta la mischia, mi butto volentieri!

Quanta libertà ti concedi nelle tue esecuzioni in studio e quanto in quelle live?
Rob – In studio dipende dall’arrangiatore. Se ha già un’idea precisa di dove vuole andare e parti già strutturate, inizio suonando esattamente quello richiesto. In un secondo tempo propongo magari piccole variazioni che a mio avviso potrebbero rendere più incisiva o interessante quella parte. Se invece si tratta di un arrangiatore che ricerca creatività e collaborazione, allora dopo la take canonica mi piace proporre la formula “ mi date 15 minuti per sperimentare e poi al limite buttiamo tutto?” Per il live ricerco una via di mezzo. Ripetere sempre le stesse cose sarebbe una noia mortale; cambiarle troppo disorienterebbe la questione. Ricerco dei momenti sparsi, possibilmente mentre il cantante non sta cantando, dove poter essere più libero e consegnare brio e qualcosa di inaspettato. Spesso capita che idee interessanti siano semplicemente suonate nel punto sbagliato... In ogni canzone c’è un punto in cui il fill originale o la finezza sono perfetti: ecco, bisogna imparare a capire quale sia quel punto.

Testo di Gianmaria Scattolin
Foto di Orazio Truglio


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