JOHN MAYALL DRUMMERS Bluesbreakers Story

Wayne Blanchard 17 ott 2016
Se da un canto, ancora oggi, è impossibile non fare approfondite considerazioni sui chitarristi stellari che entrarono nei Bluesbreakers di John Mayall (portando il blues nelle chart britanniche prima ancora di Cream, Hendrix e Fleetwood Mac...), dall’altro canto non si può prescindere dalla statura della sezione ritmica di quel combo, sorretta da batteristi di caratura eccezionale....

The Beatles, Rolling Stones, Yardbirds, Small Faces, Kings e The Move, occupano le classifiche con il loro pop, soul, progressive e psych, facendo della Gran Bretagna della metà degli anni ‘70, l’ombelico della musica moderna dell’epoca. Londra diventa il punto nevralgico e Carnaby Street è ormai invasa dal fascino degli hippies; gli Avengers (con Emma Peel) strizzano l’occhio al futuro, mentre Cream, Hendrix e Pink Floyd sono dietro l’angolo.

Dunque, com’è riuscito John Mayall [classe 1933], capellone polistrumentista, amante del blues e studente d’arte di Manchester, ad inserirsi in questo nuovo mondo? Addirittura, qualcuno potrebbe chiedersi: “chi è John Mayall?”
Se tutti ben sanno che i Bluesbreakers sono stati il trampolino di lancio per chitarristi come Eric Clapton, Peter Green e Mick Taylor, (forse) non tutti pensano ai batteristi che hanno lasciato la loro impronta in una serie ...
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di fortunati dischi del combo britannico; dischi divenuti ispirazione, in seguito, per personaggi quali Allman Brothers, Stevie Ray Vaughan, [linkhttp://www.guitarclubmagazine.com/guitar-club-n6-2016.html|Eddie Van Halen]...

Tralasciando Live at Klook’s Kleek (album d’esordio di Mayall), iniziamo parlando appunto di quello che ha attirato l’attenzione del mondo intero: BluesbrakersJohn Mayall with Eric Clapton. (1966). Altresì conosciuto come “The Beano Album” [in copertina, Clapton, è ritratto con Beano, il noto fumetto britannico] non solo ha salvato il vecchio blues da una dipartita ormai certa, ma ne ha spianato la strada per il futuro in maniera definitiva. E oggi, a quasi 48 anni di distanza, (ri)echeggia ancora come il testamento di un blues suonato con passione.

HUGHIE FLINT


E’ il luglio 1966: l’album sciocca l’intera scena musicale del Regno Unito... partendo dal lick iniziale di All Your Love, il sound lancinante (è l’inizio del sodalizio Les Paul/Marshall) e l’approccio aggressivo di Clapton alla chitarra, sconvolgono tutti gli ascoltatori. Con la sua LP Standard del ’59, Clapton è la star indiscussa di questo piatto ricco e volteggia tra brani come Little Girl, Stepping Out, Hideaway, (il grande classico di Freddie King), Have You Heard. E per quanto riguarda i batteristi?
Come la maggior parte dei drummers britannici più dotati (tra cui Mitch Mitchell, Ginger Baker, Jon Hiseman), Hughie Flint è un jazzista. Dunque, drumkit ridotto, sticking fluido, fluida indipendenza degli arti, tone e tutto il resto...
In questo disco, la batteria è registrata e mixata a volumi alti, perciò la presenza e il punch dei tamburi è notevole.

E mentre Clapton, ancora lontano dal debutto come vocalist, dipinge con la chitarra Rambiln’ on My Mind (di Robert Johnson), Hughie Flint si trova a suo agio nella velocissima Parchment Farm (di Mose Allison). Il suo assolo in What’d I Say (evergreen di Ray Charles) fa nascere allora controversie (“un solo jazzy in un album blues?...”), tuttavia il suo groove e il suo drumming sui tom caratterizzano costantemente il suo playing. Un approccio che prende spunto dalle varie band che riempiono le fumose strade di Londra: The Who, Rolling Stones, The Beatles su tutte. In questo periodo fa una breve apparizione nella band, Jack Bruce, un bassista/cantante molto rispettato, ed avviene il primo incontro con Eric Clapton con il quale più tardi darà vita ai Cream.

AYNSLEY DUNBAR


Quando Clapton lascia la band di Mayall per formare i Cream, arriva l’allora sconosciuto chitarrista Peter Green, così che i Bluesbreakers si arricchiscono di un autentico funambolo della sei corde. [Allora B.B.King dichiara: “Peter Green, mi fa paura!...”). Tuttavia, senza l’apporto di Aynsley Dunbar dietro i tamburi, la band difficilmente avrebbe terminato le session del disco A Hard Road (1967). La cover è dello stesso Mayall e l’album contempla grandi classici come Dust My Blues e You Don’t Love Me, e brani originali come The Supernatural [brano di Peter Green che attrae l’attenzione di Carlos Santana. Lo stesso Green firmerà quel Black Magic Woman che, tra le mani del chitarrista messicano, nel 1970 diviene una hit...]: brani in cui Dunbar fa letteralmente rimbombare le sue bacchette sui tom. Viceversa, con le note di Leaping Christine, trascina l’intera formazione con precisione e velocità, chiudendo la Side One dello stesso album.

In ogni brano, il giovane batterista di Liverpool, suona con la potenza e la convinzione di un veterano. Nel corso dei live, i suoi assoli fanno parlare di sé in città. Dunbar attira la stessa attenzione che riescono a volgere su di essi gli eroi della chitarra! Lo fa con la sua tecnica invidiabile, il suo tocco e il suo tone. Come dicevamo sopra, è vero che nel ’66 la Gran Bretagna vanta parecchi batteristi di talento, ma è anche vero che, sulla scena pop, non se ne trovavano del calibro di Dunbar.

Nella recente pubblicazione del doppio A Hard Road (la versione deluxe che include diversi singoli e i vari B-sides di autentiche rarità come l’album So Many Roads e l’ep, John Mayall’s Bluebreakers with Paul Butterfield) lo stesso Mayall duetta con il suo “clone” americano, il leggendario Paul Butterfield...

MICK FLEETWOOD


Dunbar lascia presto la band e viene rimpiazzato (probabilmente per volere di Green...) dal dinoccolato e allampanato Mick Fleetwood che dura appena un paio di settimane. [Verosimilmente, la causa della dipartita è da attribuire ai bicchieri di troppo...] Mick, più tardi – assieme a Peter Green e John McVie, il bassista di vecchia data di Mayall – forma i Fleetwood Mac, la blues band che riesce a forgiare un suo proprio style e sbaragliare (inizialmente) la concorrenza blues degli anni ’60 e ’70. Più tardi, farà un’azzeccata virata verso il pop “annientando” le altre band del momento... In ogni caso, il drumming dei Fleetwood Mac si contraddistingue in quanto a solidità e creatività, contribuendo a creare quel tocco che rende la loro musica magica.

KEEF HARTLEY


L’arrivo di Keef Hartley dei Rory Storm & The Hurricanes (ovvero il batterista che ha preso il posto del fortunato Ringo Starr ora approdato nei Beatles) coincide con l’arrivo del chitarrista Mick Taylor (appena diciottenne) e con un arricchimento delle sonorità date dal corno. Sebbene Hartley abbia già suonato in The Blues Alone, (1967) album solistico di John Mayall, Crusade (sempre 1967) è da considerarsi il vero primo disco di Keef alla corte del cantautore inglese.

Suona in maniera fantastica e, ancora una volta, la timbrica calda e rotonda dei tom e la cassa dal sound decisamente vintage, vanno a integrarsi alla perfezione con il mood generale dell’album. Questo album, che rappresenta l’esordio di Mick Taylor nei Bluesbreakers, consegna un Keef Hartley in grande forma, preciso e puntuale, capace di distinguersi in diversi momenti: come nel caso di Oh, Pretty Woman (un grande classico di A. C. Williams), o come in My Time After Awhile (con un roboante drumming à-la John Bonham, prima ancora che lo stesso Bonham giungesse allo scoperto dalla sua Birmingham...)

In Snowy Wood (lo strumentale di Mick Taylor), Hartley offre il suo groove sincopato e cura le dinamiche con grande gusto. Nei live mantiene lo stesso atteggiamento, come d’altronde documenta Diary Of A Band. Si tratta del doppio volume che raccoglie le registrazioni con Hartley protagonista assoluto nei tre strumentali Anzio Annie, Snowy Wood e The Lesson. Materiale grandioso! Ma non solo. Diary Of A Band è la radiografia perfetta della vita di una blues band britannica degli anni ‘60: c’è un membro della band che fa a cazzotti fuori da un locale; ci sono Hartley e Mayall che si pongono domande su Taylor; c’è una fortunata “intrusione” in Gimme Some Lovin’ dello Spencer Davis Group e vi sono ripetute botta-e-risposta a suon di canzoni, nonché l’assolo di Hartley in Soul Of A Short e Fat Man. Più la fiocinata che arriva a tarda notte con God Save The Queen (la versione ufficiale ma suonata quasi come fosse quella dei Sex Pistols).

JON HISEMAN


John Mayall ama il drumming di Hartley ma egli è noto per i suoi “licenziamenti”, tanto che, nel giro di un paio di anni, arriva a toccare “quota cento” tra nuovi arrivi e allontanamenti. E’ ora di pensare alle registrazioni di Bare Wires (1968): l’unico in città è Taylor, pertanto Mayall si trova costretto a reinventare i Bluesbreakers.

Il giovane batterista Jon Hiseman (abile abbastanza da prendere il posto di Mitch Mitchell, batterista di Jimi Hendrix e sostituire Ginger Baker nella Graham Bond Organization quando questi lascia per formare i Cream) non è il canonico batterista jazz, eppure vanta un drumming fluido e preciso. Elvin Jones è fra i suoi heroes, dunque il giovane Hiseman mostra uno sticking impressionante, combinato a un tremendo senso dello swing, dinamiche e musicalità. Elementi che contribuiscono a rendere l’album Bare Wires, un concentrato di blues originale con impronte jazz. (Ne è un esempio Hartley Quits, la traccia strumentale di Mick Taylor, il cui drumming di Hiseman è esplosivo, ben sorretto dalle chitarre e dal corno). Fire è una traccia altamente introspettiva e She’s Too Young letteralmente ringhia, grazie a un rullante incisivo e gli accenti pertinenti di Hiseman. In Start Walking vi è la tecnica di Hiseman in tutto il suo splendore, capace di trascinare la band e accompagnare i riff impulsivi e l’assolo di Taylor impegnato a dominare il feedback con maestria. Un ottimo album pur se, sfortunatamente, l’unico con Jon Hiseman alla corte di Mayall. (Il batterista lascia infatti i Bluesbreakers per dar vita al progetto audace e dinamico, nominato Colosseum).

COLIN ALLEN


Nel 1968, a due anni di distanza dall’album con Clapton [album che ha reso il blues una realtà onnipresente assieme a Cream e Hendrix] Mayall decide di cambiare nome alla band: si sbarazza del nominativo Bluesbrakers e utilizza semplicemente il suo nome e cognome: John Mayall.

Ispirato dalle tre settimane di vacanza fatte a Los Angeles, pubblica Blues From Laurel Canyon (1968) un disco che vede la partecipazione dello storico batterista britannico Colin Allen. Quest’ultimo regala al tutto uno shuffle accomodante e rockeggiante (molto americano) in Walking on Sunset; uno swing arioso e jazzy fra le note di Miss James e un groove squisitamente funky in pezzi come 2401, Long Gone Midnight, The Bear. La ending track, Fly Tomorrow, vede Taylor e Allen sperimentare in territorio jam. Allen, proviene dalla Zoot Money Big Roll Band (così come Andy Summers, futuro The Police) e, come tutti i batteristi di Mayall, è un veterano della scena blues e jazz del Regno Unito. Il suo drumming, dai gustosi fills accomodanti ed accenti sincopati e funky, è un elemento fondamentale per rendere il disco un grande classico. Mayall, come già aveva dimostrato in Bare Wires, con questo Blues From Laurel Canyon mostra a tutti quanto il blues possa essere suonato approcciando svariati mood.

Cosa ne è stato di tutti questi talentuosi batteristi?


Nel successivo disco, The Turning Point (1969), Mayall non si smentisce e si presenta con una nuova band, confermando soltanto il bassista Stephen Thompson già presente nella lineup del precedente Laurel Canyon. Una formazione che – udite, udite – non presenta alcun batterista!

Cosa ne è stato di tutti quei talentuosi batteristi? Dopo i primi anni ‘70 e la scalata delle classifiche con i McGuinness Flint, Hugh Flint si dedica alle percussioni. Oggi è un felice pensionato. Aynsley Dunbar colleziona una serie d’ingaggi prestigiosi, registrando una hit dopo l’altra (tra cui i singoli più recenti di Jeff Beck). Suona con la sua band, Aynsley Dunbar Retaliation & Blue Whale; con Frank Zappa & The Mothers of Invention (Chunga’s Revenge, Live at the Filmore East, Apostrophe...); con John Lennon (Sometimes in New York City); con David Bowie (Pinups, Diamond Dogs); con Lou Reed (Berlin); con i Journey (Lights e Wheels in the Sky) e con gli Starship (Freedom at Point Zero e la potente hit, Jane). Dunque, con i Whitesnake (Still for The Night, Here i go again, Is this Love).

Keef Hartley ha lasciato un segno di caratura internazionale con la sua Keef Hartley Band, registrando dischi come Halfbreed e The Battle of NW6, esibendosi a Woodstock (esibizione non presente nel film). Tristemente, il 26 novembre 2011 è deceduto.

Jon Hiseman, come si diceva, forma i Colosseum: una jazz/blues/rock band che lancia la moda di inserire un corno nella musica rock, nata dalle ceneri della formazione che aveva registrato Bare Wires di Mayall. Un progetto che attira l’attenzione dei Chicago Transit Authority (oggi Chicago). Fonda inoltre gli Shadowshow (con il leggendario Rod Argent degli Zombies e Clem Clempson, chitarrista dei Colosseum e Humble Pie) e poi i Paraphernalia (al sax c’e sua moglie, Barbara Thompson). Una grande produzione musicale la sua, suggellata da varie reunion e diversi tour che lo riportano spesso sul palcoscenico.

Colin Allen prosegue il successo con gli Stone The Crows assieme a Scots, prima di rimpiazzare Pierre Van Der Lindes nei teutonici Focus. Si è esibito assieme a Bob Dylan, Rod Stewart, Paul McCartney, Brian Auger e Eric Clapton. Oggi vive in Svezia ed è stato visto in tour con Zoot Money e Maggie Bell (cantante degli Stone The Crows) in una formazione di all-star.

E per finire...
È assodato che i riflettori siano stati perlopiù puntati sui chitarristi accanto a John Mayall, tuttavia dove sarebbero arrivati i Bluesbreakers senza quei batteristi straordinari di cui abbiamo parlato sinora? La loro eredità dura nel tempo ed è di pregio quanto quella lasciata da altre star... Perciò, lasciatevi ispirare!

Oggi i Bluesbreakers di John Mayall si possono apprezzare nel dvd del 70esimo compleanno dell’artista britannico, con ospiti eccezionali alla chitarra, quali Clapton e Taylor ma, per avere un’idea della storia di questa band, il dvd documentario, John Mayall – Godfather of British Blues/ The Turning Point diviene una sort di must...

Gli album menzionati nella suddetta disamina sono oggi disponibili su cd, alcuni dei quali (quelli con Clapton e Green), rimasterizzati e arricchiti con splendide bonus track.

Paul McCartney
Nelle pagine del libro, All Those Years Ago, Paul McCartney racconta di quando, assieme a John Lennon (dopo aver passato la serata in un locale londinese di Soho), si ritrovano nell’appartamento di Mayall per riascoltare i grandi classici blues americani. Poco tempo dopo, John Lennon, canterà Yer Blues (nel White Album), accompagnato dalla chitarra di Eric Clapton. (Quest’ultimo duetterà anche al fianco di George Harrison in While My Guitar Gently Weeps).


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