MIKE MANGINI Dream Theater "A View From The Top Of The World"
Patrizia Marinelli 18 ago 2022
Lo scorso 22 ottobre 2021, i Dream Theater sono usciti con A View From The Top Of The World, 15esimo album registrato durante il lockdown, all’interno del loro studio/quartier generale. Sette brani che ribadiscono tutta la caratura, identità ed amalgama della celebre prog metal band di Boston. Dietro i tamburi, come sempre, Mike Mangini!
Nel pieno del tour a supporto di Distance Over Time (il loro album del 2019), i Dream Theater sono costretti a sospendere a causa della pandemia. Il destino però, vuole che abbiano appena ultimato la costruzione del loro DTHQ (Dream Theater Headquarter), una struttura che ospita studio di registrazione, sala prove, control room, ricovero della strumentazione, oltre che un apposito spazio in cui dare sfogo alla loro creatività; diventa naturale per la band richiudersi lì dentro e dare vita a una manciata di brani nuovi ed al conseguente nuovo album, A View From The Top Of The World, uscito lo scorso 22 ottobre 2021 su InsideOut Music/Sony Music. (Produzione: John Petrucci – Registrazioni: James “Jimmy T” Meslin – Mix/mastering: Andy Sneap – Artwork: Hugh Syme)
Con i Dream Theater sin dal 2011, Mike Mangini traghetta in A View From The Top
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Of The World il massiccio know-how tecnico che gli è proprio, la sua sensibilità ed il suo intento: suonare per la band. Proprio con Mike abbiamo parlato del nuovo album e del tour che riporterà i Dream Theater nel nostro Paese.
Dream Theater lineup James LaBrie (voce) – John Petrucci (chitarra) – Jordan Rudess (tastiere) – John Myung (basso) – Mike Mangini (batteria) – www.dreamtheater.net
A View From The Top Of The World segue il pluridecorato Distance Over Time del 2019: ripartire con la composizione di nuovo materiale di un simile livello non deve essere stato semplicissimo… È stato stimolante nel senso stretto della parola, visto che il nostro obiettivo generale è quello di riuscire a crescere di album in album, il che comporta sfide nuove. Migliorarsi però non è facile. Ci vuole un sacco di coraggio, di lavoro duro e costante, e di spirito da band; il che significa pensare al plurale, totale interplay, in funzione del risultato finale. Soltanto se un’idea piace a tutti sopravvive e c'è sempre qualcuno che suggerisce la via per realizzarla al meglio. Ecco perché la nostra musica è cosi forte, perché è passata attraverso cinque filtri, cinque persone impegnate a dare il meglio.
Il primo singolo, The Alien, è anche il brano di apertura, nonché il primo che avete scritto, ci parli di come è nato? La nostra intenzione era restituire il nostro stato d’animo di quando siamo entrati in studio, la gioia di poter suonare assieme in quel difficile periodo della pandemia. Non avevamo certo l’intenzione di scrivere un brano da Grammy o robe del genere, ma semplicemente di poter suonare insieme.
Sleeping Giant sfodera un beat incredibilmente interessante… Grazie per il complimento! Il ritmo di cui parli viene dal timing concepito alla base e poi elaborato da tutti noi, concentrati sul come masticarlo e digerirlo per restituirlo in maniera naturale e spontanea. Alla fine ne siamo stati decisamente soddisfatti.
The Waking Of The Master è il brano che probabilmente consegna il prog rock più tradizionale dell’album, sei d’accordo? Assolutamente sì. Questo dipende dalla potenza del testo, da come le lyric sono state impiantate nella musica, e dal fatto che la stessa musica è stata costruita intorno a un riff di John [Petrucci] con la sua otto corde. Non c'è dubbio, si tratta di un pezzo potente e heavy, una valida combinazione di elementi.
Anche il brano che dà il titolo all’album è molto potente e con un incedere cinematografico, se ci consenti il termine... Proprio così, e questo arriva da Jordan [Rudess] dalla sua abilità di trasformare certe visioni in musica in modo incredibile. Ascoltare questo brano è un po’ come guardare un film: musica che fluisce, si muove, raggiunge lidi diversi e ritorna, concedendoti il tempo di assorbire il feeling di ogni sua sezione. Un sacco di elementi che si intersecano ma non in modo caotico: a mio parere, uno dei nostri migliori lavori in assoluto.
C’è stato un brano che ti ha impegnato di più? Fammici pensare... Invisible Monster. Un brano molto quieto, la cui difficoltà non è la partitura, anzi, ma il suonare restituendo grande relax e naturalezza.
Che genere di equipment hai utilizzato per le registrazioni di A View From The Top Of The World? Ti dirò che ho descritto tutti i dettagli in un video sul mio canale YouTube. Questa volta ho utilizzato un kit Pearl molto più piccolo del solito, anzi... la configurazione più snella che io abbia mai messo insieme: un rack tom, un floor, cassa, rullante, un rullante-piccolo, due tube drum ed un gong drum. Accordatura di quasi un’ottava più del solito, la cui nota più alta è quella dei tube drum. In quanto ai piatti, ho utilizzato un mix dei miei Zildjian. Microfoni Shure ed elettronica Roland. [Nota – Disponibile su Youtube il play-along del brano Alien https://youtu.be/EFx19PMxGTc]
Hai dichiarato che da teenager praticavi dietro i tamburi almeno sei ore al giorno, oggi? Oggi no. Mi concentro sul mantenere velocità e fluidità ed intensifico la routine prima delle prove di un tour ma anche prima delle lezioni con i miei studenti. Ti confesso però che al momento sono un paio di settimane che non mi esercito affatto!
È vero che a 9 anni imitavi alla perfezione il drumming di Buddy Rich? È vero. Mio fratello maggiore aveva molti suoi dischi, così iniziai ad ascoltarli cercando di captare ogni passaggio del suo drumming abbassando i 33 giri a 16, rallentando di conseguenza la velocità di esecuzione... anche perché Buddy era incredibilmente veloce! Alla fine ero perfettamente in grado di replicare ogni suo passaggio. E ne andavo molto fiero.
Un cenno alle tue maggiori influenze di teenager? Ringo Starr, Buddy Rich e John Bonham. Poi Terry Bozzio e Daniel Seraphine, il batterista dei Chicago delle origini. Aggiungo che colui con cui mi diverto un sacco a suonare, è Horacio “El Negro” Hernandez, grandioso batterista e percussionista cubano.
Sei stato docente del Berklee College of Music di Boston e sei un membro del Dipartimento di Percussioni; quanto pensi che l’essere un musicista dei DT abbia giovato alla tua figura di insegnante? Far parte dei DT mi ha aiutato in un sacco di modi. Uno di questi è che posso trasmettere ai miei studenti spaccati ed esperienze della vita di musicista, relazionandomi con loro non solo sotto il profilo didattico più puro e canonico. Ora faccio lezione anche online e lo trovo grandioso. Gli studenti possono collegarsi da ogni dove evitando di prendere auto e aerei, di prenotare hotel; l’unico loro costo è quello della lezione che io considero piuttosto basso.
A un certo punto della tua vita hai deciso di iscriverti all’università per una laurea in informatica ed hai dichiarato che quegli studi hanno finito per influenzare il tuo drumming, giusto? Quegli studi si sono rivelati utilissimi! Mi sono addentrato nella realizzazione di software in campo ingegneristico, missilistico, per la precisione, e ciò che mi aveva scioccato e poi condizionato il mio modo di suonare, è il sistema di trasmissione dei dati tramite il cosiddetto codice binario on-off. Qualcosa di simile accade col beat della batteria e mi ha portato a ragionare in maniera logica dietro i tamburi, rendendomi in grado di affrontare ogni tipo di timing rapidamente e con facilità.
Porterete in tour A View From The Top Of The World, come ti senti al pensiero di risalire sul palco? Mi sto preparando all’idea sin da quando mi sveglio la mattina! Nella pratica, sto metabolizzando i brani in ogni dettaglio; sarà dura ma darò il massimo sperando di fare un gran lavoro!
Mike Mangini – Nasce a Newton, nel Massachusetts statunitense, il 18 aprile 1963. Inizia a suonare la batteria a soli 5 anni, una passione che si trasforma in una sorta di ossessione. Pratica infatti 5/6 ore al giorno, ogni giorno della settimana, e all’età di 9 anni suona già in alcune band locali e partecipa a diversi contest.
Si diploma nel 1981, ma invece di concentrarsi sulla musica, in quel momento decide di cambiare rotta per conseguire una laurea in informatica presso il Bentley College. Mike è uno che brucia le tappe: con la laurea in tasca, inizia a lavorare su un software per il Dipartimento della Difesa sviluppando parallelamente un progetto dedicato al rapporto tra corpo e cervello umano. Proprio queste sue esperienze contribuiscono allo sviluppo del suo peculiare drumming imprimendo una svolta decisiva alla sua carriera di batterista.
Nel 1987 fa parte della Rick Berlin Band di Boston, dove conosce il bassista Phillip Bynoe (suo futuro compagno nel progetto musicale con Steve Perry dei Journey e, soprattutto, nella band di Steve Vai). Contemporaneamente dà vita alla sua attività di insegnante.
Nel periodo 1991/1994 fa parte degli Annihilator di Jeff Waters, prendendo parte all’album Set The World On Fire. Subito dopo rimpiazza il batterista Paul Geary degli Extreme. Con loro incide l’album Waiting For The Punchline (1995) e resta nella lineup sino all’anno successivo, quando la band decide di fermarsi. Ma, come si dice, chiusa una porta si apre un portone. Così, tramite il collega Jeff Campitelli (batterista con Joe Satriani) viene a sapere che Steve Vai sta cercando un nuovo batterista. Mangini si propone ed ha successo, quindi si trasferisce a Los Angeles. Nel periodo 1996/2000 è in pianta stabile nella formazione di Vai e registra i due album Fire Garden e The Ultra Zone. Nel 2000, torna a Boston.
Inizia un periodo di attività intensa, equamente diviso tra aule scolastiche e collaborazioni esterne, tra cui la band Tribe Of Judah (insieme a Gary Cherone e Pat Badger degli Extreme), le session con Terry Bozzio, la partecipazione a un paio di album-tributo e il ritorno all’ovile degli Annihilator (Metal, 2007). Nel frattempo accetta la cattedra a tempo pieno presso il blasonato Berklee College di Boston. Poco dopo dà alle stampe Rhythm Knowledge, il suo acclamato metodo didattico.
Ma i riconoscimenti non finiscono qui. Mike Magini detiene infatti tre dei quattro record come World Fastest Drummer: 1247 colpi in un minuto con la matched grip, 1126 colpi in un minuto con la traditional grip e suonando il maggior numero di colpi singoli con i piedi (5222) in cinque minuti. Un record che stabilisca al Summer Namm statunitense del 2005.
L’8 settembre 2010 Mike Portnoy annuncia l’abbandono dai Dream Theater: si presentano alle audizioni Mike Mangini, Marco Minemann, Peter Wildoer, Virgil Donati, Aquiles Priester, Derek Roddy e Thomas Lang. Sarà Mangini ad ereditare il prestigioso sgabello. A Dramatic Turns Of Events (2011) è il primo album che Mangini registra con i DT, seguito dai successivi Dream Theater (2013), The Astonishing (2016), Distance Over Time (2019) e dall’odierno A View From The Top Of The World (2021).
Mike Mangini utilizza piatti Zildjian, il marchio di cui è endorser da decenni. Ecco di seguito l’elenco dei piatti che utilizza di più, creando ogni volta configurazioni ad hoc. 14” e 18” FX Oriental China Trash – 20” A Ping Ride – 14” A Custom HiHats – 13” A New Beat HiHats – 13” ZBT HiHats – 14” K/Z Special HiHats – 18” A Custom Crash – 20” Z Ride – 19” e 21” Z China – 8” ZHT Splash/12” Oriental Trash – 12” A Splash/20” China Oriental