OPETH "The Last Will And Testament"

Patrizia Marinelli 02 dic 2024
Nel 2022 Waltteri Väyrynen balza negli Opeth ed oggi registra il suo primo album con i celebri paladini svedesi del prog metal, quel The Last Will And Testament fresco di stampa. The Last Will And Testament riporta nei brani degli Opeth quel piglio death metal che a molti fan era mancato durante l’ultima decade, e lo fa con un concept oscuro al punto giusto. Dopo 20 anni di carriera sembra che la band svedese abbia ritrovato un particolare interesse per le tinte più pesanti, proseguendo però in quel lavoro di affinamento della narrazione intrapreso a partire dall’uscita di Heritage nel 2011.

Grazie al suo innato talento e alla stima ed amicizia che si è guadagnato tra i colleghi nell’ambito del panorama musica rock/metal/prog, Waltteri Väyrynen (nato a Helsinki, Finlandia, nel maggio del 1994) è riuscito a fare il salto di qualità che aspettava da tempo, aggiudicandosi l’ambito ruolo di batterista degli Opeth. Quando mi hanno chiamato non ho avuto alcuna esitazione. Tempo dopo sono venuto a sapere che anche il mio amico Jonas Renkse dei Katatonia ha parlato bene a Mikael di me. – ci ha detto Waltteri - Personalmente conoscevo già Mike, ma solo in maniera superficiale, ...
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info intervista

Opeth
Waltteri Vayrynen
The Last Will And Testament
l’avevo incontrato qualche volta e ci eravamo bevuti qualche birra insieme, niente di più. Ricevere quella telefonata è stata davvero una grande soddisfazione.

Con la prestigiosa prog-metal band svedese, Waltteri ha inciso The Last Will and Testament (in uscita a novembre per Reigning Phoenix Music) un album che guarda al passato della formazione al punto da guadagnarsi paragoni con quel capolavoro chiamato Watershed (del 2008). Il nuovo album, infatti, è caratterizzato da atmosfere dark e da un sound decisamente molto più heavy di quanto ascoltato nella recente discografia del gruppo. Alla base di tutto c’è un concept che nasce da vicende realmente acca-dute, sulle quali Âkerfeldt ha tessuto la trama di un anziano patriarca intento a lasciare in eredità una grande fortuna, ma anche molti segreti.
Nel corso del tempo mi sono accorto che avrei potuto inserire la nostra storia in qualsiasi contesto, anche nel 1800, ad esempio. – ha detto Âkerfeldt - Ciò che conta realmente sono le strutture della società, perché è con quegli elementi che la storia si snoda fra emozioni e relazioni contorte. L’unico elemento inamovibile doveva essere la figura del patriarca, e quindi l’ambientazione degli anni ‘20 del Novecento si è rivelata semplicemente perfetta.

Si tratta di un viaggio nelle oscurità della mente e dei rapporti umani che gli Opeth intraprendono con il supporto di riff più taglienti che mai, con il ritorno del growl, e con un piglio death che non si di-mentica degli elementi prog emersi nel corso degli album più recenti. La sezione ritmica serrata, decisa e robusta, è curata del bassista Martin Mendez e per dalla new entry Walter Vâyrynen. Già membro dei Paradise Lost, il batterista e percussionista finlandese ha militato in vari gruppi prima di trovare posto negli Opeth come sostituto del dimissionario Martin “Axe” Axenrot . Nel 2016 Väyrynen pub-blica il suo primo album come solista, Face your Demons, insieme alla cantante Eilera, e nel 2019 re-plica con Abandon of Faith. Sempre nel 2019 si fa ascoltare su Hexed ai Bodom After Midnight, mentre nel 2017 e nel 2020 si rende partecipe di due album dei Paradise Lost, rispettivamente Medusa e Obsidian.

Sono molte altre le collaborazioni che compongono il palmares di Väyrynen, e tra queste figurano Him, The Hypotesis, Wargasms, Vallenfyre, e Abhorrence. L’approdo nel pluripremiato gruppo di Mikael Âkerfeldt rappresenta una grande occasione per Väyrynen, attualmente impegnato in un tour statunitense partito lo scorso ottobre per promuovere The Last Will and Testament.

OPETH lineup 2024
Mikael Åkerfeldt (voce, chitarra) – Fredrik Åkesson (chitarra, cori) – Martin Mendez (basso) – Waltteri Väyrynen (batteria, percussioni) – Joakim Svalberg (tastiere, cori)

Il nuovo album degli Opeth, The Last Will & Testament, è sicuramente più dark, più doom del precedente In Cauda Venenum. Questo ritorno - se così possiamo dire - a delle sonorità molto più dure e delle atmosfere più cupe, scaturisce da una necessità particolare? Da un’esigenza artistica?
Penso che tutto sia venuto fuori in maniera assolutamente naturale. Nel 2021 c’è stato il trentesimo anniversario della band, nel corso del quale la band è tornata a suonare brani scritti molti anni fa. Credo che Mikael e gli altri abbiano trovato questa cosa molto stimolante. Io avevo provato quei brani con il gruppo circa un mesetto prima e devo ammettere che anch’io mi sono divertito a suonare quelle tracce così heavy. Questo credo che sia stato, almeno in parte, uno dei motivi per i quali Mike ad un certo punto ha pensato di tornare a scrivere in una direzione più vicina al passato. A questo si è aggiunto il fatto che uno dei personaggi della storia che si snoda all’interno del concept necessitava di una voce molto cupa, quasi crudele, ed ecco come il growling è tornato a far parte della musica degli Opeth.

Un ritorno alle origini sicuramente molto gradito dalla vecchia fanbase degli Opeth…
Sì, in un certo modo è un ritorno alle origini, ed il growl gioca un ruolo molto importante. Molta gente pensa che gli Opeth siano tornati alle loro radici, ma io credo che non si tratti soltanto di questo. L’album contiene certamente molti elementi che vengono dal passato, ma musicalmente è qualcosa di completamente diverso rispetto a ciò che la band ha fatto in precedenza. Ci sono elementi del vecchio materiale, ma anche influenze provenienti dal repertorio prog più recente. È un mix che combina di un po' di tutto, ed il risultato finale è qualcosa di molto fresco.

Gli elementi progressive si combinano con influenze più vicine al death metal, e quello che ne scaturisce quindi è una combinazione molto ricca...
Esatto, e tutto ciò rende The Last Will and Testament particolarmente interessante. Che tu sia un fan dei lavori più recenti degli Opeth, oppure di quelli più datati, puoi apprezzare comunque questo disco e trovarlo eccitante e coinvolgente.

Questo è il tuo primo album in studio dal momento del tuo ingresso nella lineup degli Opeth Che effetto ti ha fatto registrare con una band che gode di una così grande considerazione internazionale?
È stato fantastico, ovviamente. Mi sono sentito onorato ed elettrizzato dalla possibilità di registrare con questa band, ma mi sono sentito addosso anche tanta pressione. Il pensiero di prendere il posto di Martin Axenrot mi ha spronato a voler dimostrare che avevo uno stile tutto mio. Volevo essere riconosciuto come parte del sound degli Opeth, cosa che adesso finalmente può succedere. Quelli della band sono dei brani molto stimolanti, ricchi, pieni zeppi di dettagli, ho avuto bisogno di tanto tempo per esercitarmi su tutto quel materiale e farlo funzionare nel modo giusto. Mi sono impegnato molto, e adesso posso dire di essere contento del risultato finale. Sono felice di sapere che anche il resto della band è felice del mio apporto ai brani. A questo punto non vedo davvero l’ora di sentire le reazioni del pubblico al riguardo.

Con del materiale così impegnativo come quello di The Last Will and Testament, c’è stata una traccia che si è dimostrata più difficile da registrare?
Quando mi stavo esercitando sui nuovi brani quello che mi ha dato più filo da torcere è stato il numero cinque, perché come sapete in questo album i brani non hanno titoli all’infuori della traccia conclusiva. Paragraph 5 ha così tanti elementi, e così tanti cambi dinamici all’interno delle varie sezioni, che mi ci è voluto un bel po' per capire quello che succede all’interno del brano. Ho dovuto isolare le parti di batteria delle demo per capire bene di cosa avrei dovuto occuparmi, e soltanto successivamente ho cominciato a suonarle sul mio drumkit. Mi ci sono volute un po' di settimane per venirne a capo e eseguire questi brani nel modo migliore, ma una volta entrato in studio per registrare non ho avuto problemi proprio perché conoscevo tutto in maniera approfondita.

Insomma sei arrivato preparato per la sfida che ti aspettava…
Esattamente. Devo dire che tutte quelle ore di esercitazione sono servite a qualcosa.

E invece credi ci sia un brano del nuovo album al quale sei maggiormente legato?
È un po' difficile a dirsi, la mia traccia preferita cambia quasi ogni giorno! [ride] Al momento direi che la numero 7 è sicuramente una di quelle che amo di più. Se mi ricordo bene dovrebbe essere il primo pezzo che ho avuto l’occasione di ascoltare quando Mike è arrivato in studio con le demo. Mi ha fatto venire la pelle d’oca perché mi sono reso conto immediatamente della direzione elettrizzante che la band stava prendendo con questo disco. È un brano molto heavy, e porta con sé un significato molto profondo, ma allo stesso tempo è molto divertente da suonare. Per questo, almeno per ora, è quello che preferisco.

Questo è un concept album che racconta una storia ispirata a fatti realmente accaduti, dei quali MikaelAkerfeldt è venuto a conoscenza e dai quali è rimasto molto colpito. Immaginiamo un giorno vi abbia raccontato l’argomento che voleva esplorare e la vicenda ad esso collegata. Tu cosa hai pensato?
Ho pensato che fosse molto impressionante. Una storia che parla di tante vicissitudini, di alti e bassi lungo la strada. Capisco il motivo per cui è riuscita a catturare l’immaginazione di Mike, ed il perché abbia deciso di scrivere un concept album. Anche in questo caso, però, mi ci è voluto molto tempo per capire del tutto il racconto nelle sue infinite sfumature.

Parliamo adesso dell’incredibile sezione ritmica che ti vede affiancato dal basso di Martin Mendez. Sicuramente deve essere divertente suonare con un bassista dal grande talento come lui. Come è stato il vostro interplay musicale durante le registrazioni di The Last Will and Testament?
Intanto vorrei precisare che abbiamo suonato separatamente le nostre parti, ma in linea generale da batterista direi che suonare con Mendez è uno spasso. È così facile andare d’accordo con lui musicalmente, perché ha un groove favoloso ed un gran senso del ritmo. Il più delle volte non dobbiamo nemmeno parlare, o spiegarci, comunichiamo direttamente attraverso la musica. Non posso dire altro che suonare con lui è molto divertente.

Fino a qualche anno fa eri il batterista dei Paradise Lost, vuoi raccontarci come sei entrato a far parte degli Opeth?
Era il 2021 quando il precedente batterista Martin Axenrot ha deciso di lasciare la band, e io ho subito pensato che per me sarebbe stato un sogno entrare negli Opeth. Dal punto di vista di un batterista, gli Opeth sono una band molto eccitante e stimolante, ed inoltre sono sempre stato un loro fan. Sami Karppinen lo storico drum-tech della band ha sostituito Axenrot per alcune date live, ed io lo conoscevo già molto bene perché avevamo lavorato insieme in passato. Al tempo mi è capitato di parlare casualmente con Sami, che fin da subito mi ha confessato che non avrebbe voluto essere il batterista degli Opeth troppo a lungo. Ricordo di avergli detto che mi sembrava pazzo, e che avrebbe dovuto tenerti quel ruolo il più stretto possibile. Non so per quale motivo, ma Sami non si sentiva del tutto a suo agio in quella posizione, e così ha fatto il mio nome a Mikael. Quando mi hanno chiamato non ho avuto alcuna esitazione. Tempo dopo sono venuto a sapere che anche il mio amico Jonas Renkse dei Katatonia ha parlato bene a Mikael di me. Personalmente conoscevo già Mike, ma solo in maniera superficiale, l’avevo incontrato qualche volta e ci eravamo bevuti qualche birra insieme, niente di più. Ricevere quella telefonata è stata davvero una grande soddisfazione.

Oltre ai Paradise Lost hai militato in molte band e hai lavorato spesso e volentieri anche come sessionman per diversi progetti. Qual è stata l’esperienza musicale che ti ha aiutato a sviluppare di più, e al meglio, il tuo stile?
È piuttosto difficile farti il nome di una specifica esperienza prima degli Opeth. Negli anni ho suonato e registrato con musicisti diversi, e tutti – in maniera diversa - mi hanno aiutato a diventare il musicista che sono oggi. Credo, però, che unirmi agli Opeth e lavorare sul nuovo album mi abbia dato moltissimo. Esercitarmi sui nuovi brani mi ha spinto in avanti come batterista più di quanto non sia mai successo prima. La prima volta che ho ascoltato le demo di The Last Will and Testament ho pensato scoraggiato: “no, non riuscirò a suonare questo materiale, è troppo complicato.” È stata una sfida, ma successivamente mi sono reso conto che – invece – potevo mettere qualcosa di mio in quelle canzoni. Ho dovuto spendere un sacco di tempo per imparare cosa servisse per un progetto simile, ma fino ad oggi è stata la cosa più importante che io abbia fatto nella mia carriera.

Oggi che sei negli Opeth ti ritrovi sotto i riflettori molto più che in passato. Ti senti a tuo agio e come sono i tuoi rapporti con la fanbase della band?
Onestamente quando sono entrato nel gruppo ero molto spaventato all’idea di come avrebbero reagito i fan. Ero intimorito dal giudizio del pubblico e anche dai paragoni che avrebbero fatto tra me e i precedenti batteristi della band, ma una volta che sono uscito alla scoperto e ho fatto il primo concerto, ho avuto modo anche di confrontarmi con il pubblico. Devo dire che il 99% cento dei fan degli Opeth mi ha supportato fin da subito. Sono stati tutti contenti del modo in cui ho suonato, e questo mi ha reso felice e orgoglioso. È un risultato che mi ha regalato energia e fiducia in me stesso, anche perché quando si tratta di dare giudizi solitamente sono il peggior nemico di me stesso. So bene che posso ancora migliorare molto, quindi è stato molto bello ricevere dei complimenti sinceri, sia dai membri della band, sia dai fan.

Qual è il tuo setup per i concerti live degli Opeth?
Sono un endorser Pearl, e il mio kit Reference Pure è così composto: 10”x8” Rack tom, 12”x9” Rack tom, 14”x14” Floor tom, 16”x16” Floor tom, 18”x16” Floor tom, 20”x14” Gong Drum, 14”x6,5” Reference Steel Snare, 14”x6,5” Reference Brass Snare, 14”x6,5 Reference Pure Snare, ed infine due 22”x18” Kick Drums. Sono un endorser Sabian ormai da tempo, e nello specifico i piatti che uso sono: 8” Stage Bell, 12” Chopper, 12” HHX Evolution Splash, 14” Evolution Chinese, 18” HHX Evolution O-Zone Crash, 19” HHX Evolution Crash, 19” HHX Complex Thin Crash, 19” HHX Complex O-Zone China, 22” HHX Legacy Heavy Ride, 15” HHX Complex Medium Hats, 14” HHX Complex Medium Hats, 14” AAX China/Groove Hats Stack. Per quanto riguarda le pelli, invece, ho scelto delle Evans G2 per le pelli battenti di tutti i tom, e G1 per le pelli risonanti. Per le casse invece uso delle pelli Evans EQ, mentre per i rullanti delle ST dry. Infine per quanto riguarda le bacchette sono un endorser Wincent Drumsticks, e uso le 5BXL.

Prima di lasciarci, sai già quando suonerete in Italia per supportare il nuovo album?
La data a Milano dovrebbe essere prevista per Febbraio, o forse un po’ dopo… Posso dirvi con certezza che sarà nei primi mesi del 2025. Spero che il pubblico voglia ascoltare del materiale dal nuovo album, ma sono consapevole del fatto che dovremo sempre inserire quei brani per cui la gente segue la band da molti anni. È un compromesso, in fin dei conti. Ad ogni modo ci vedremo molto presto.

Grazie Waltteri, è stato un piacere!
Piacere mio. Statemi bene.






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