E’ un prog rock ancora più enfatico ed esplosivo a tinteggiare i solchi di It Leads To This, il quindicesimo capitolo dei britannici The Pineapple Thief. E, come sempre, è Gavin Harrison a mettere la sua impronta seduto dietro il drumkit.
Britannico doc, classe 1963, Gavin Harrison siede da anni nell’olimpo batteristico e non è un caso che il suo raffinato mix di tecnica, timing, precisione e gusto impeccabili, abbiano siglato produzioni d’alto rango, tra cui, a titolo di esempio, Lisa Stansfield, Level 42, Paul Young, Iggy Pop, Sam Brown, Go West, Franco Battiato, Claudio Baglioni, Eros Ramazzotti, per non parlare dell’habitat del prog, ovvero quello di giganti come King Crimson, Porcupine Tree, Renaissance e, naturalmente, The Pineapple Thief, il quartetto britannico in cui suona sin dal 2016.
Lo scorso febbraio 2024, proprio i Pineapple Thief, capitanati da Bruce Soor, hanno pubblicato "It Leads To This" (K-Scope Records): otto tracce che, miscelando l’urgenza del prog rock alle atmosfere più delicate, a melodie ora pensierose ora eccitanti e ad intense riflessioni sulle turbolenze e il caos che governano oggi l’esistenza umana, riescono a generare una texture fatta del respiro dei suoni e della coesione (e caratura) della band britannica.
anche di più, abbiamo parlato con Gavin Harrison ed ecco quello che ci ha raccontato.
The Pineapple Thief 2024 - lineup Bruce Soord (vocal/guitar) – Jon Sykes (bass/vocal) – Steve Kitch (key/synth) – Gavin Harrison (Drum)
Ciao Gavin, eccoci qui a parlare di It Leads To This, l’ultimo album targato The Pineapple Thief, evocativo sin dal titolo... Premesso che i testi sono di Bruce [Soord] e che sono perlopiù i cantanti ad avvertire la necessità di sentirli nelle loro corde e di conseguenza interpretarli, posso dire che il fil-rouge che li lega assieme sono le riflessioni sulla caotica condizione del mondo odierno e sulle aspettative future.
Dunque, un concept album in cui tu hai ricercato l’adeguato suono della batteria, traccia per traccia: è così? Assolutamente sì. Oltretutto, sono ormai ventisei o ventisette anni che ho il mio home studio e ciò significa aver potuto lavorare tanto per arrivare al mio suono dietro il drumkit, ma anche per sperimentare le innumerevoli configurazioni di tamburi, microfoni e quant’altro allo scopo di carpire la resa di un dato suono in un mix.
Nel nuovo disco dei Pineapple Thief c’è un brano che è stato particolarmente ostico da suonare? Rubicon è stato il più tosto! Quando è stato il momento di provarlo in studio, dico a Bruce: “Sai cosa? Non ho mai sentito suonare un pezzo in 5 con il portamento di uno shuffle!” Mi metto a suonare con tale intenzione, mentre Bruce mi accompagna con la chitarra. Poi lo suono di nuovo da solo e mi rendo conto che funziona. In pratica, pare un ritmo semplice mentre invece non lo è per niente.
C’è un brano che prediligi su tutti? Questa è una bella domanda ma mi è difficile rispondere perché ho lavorato al disco per così tanto tempo e passione, che ho finito per adorare tutti i brani della tracklist. Tuttavia, se proprio devo scegliere, ti dirò To Forget e di nuovo Rubicon, decisamente interessanti sotto il profilo batteristico.
Sei entrato ufficialmente nei Pineapple Thief nel 2017 e ciò ha rappresentato un momento cruciale per la band... ... no, non la vedo in questo modo. Quando una band cambia un elemento, cambiano anche le dinamiche e le relazioni interne: a volte ti ci trovi davvero bene e altre meno... ebbene, con i Pineapple Thief mi sono trovato subito a casa. Sono stato accolto alla grande e si sono subito fidati di me, pur se il mio drumming era qualcosa di diverso rispetto a quelli che erano stati i loro canoni sino a quel momento. Tuttavia, non ho mai pensato di impormi o di rivoluzionare le cose, ma mi sono concentrato sulla coesione e sull’obiettivo di suonare per la musica e per la band. Oltretutto, il mio ingresso nella band è stato ben accolto dall’audience e devo dire che ha generato una bella sensazione in tutti noi.
I Pineapple Thief sono indicati tra i combo del nuovo corso del prog rock: da ragazzo ti sei nutrito di questo genere di musica? Onestamente, da ragazzino no. Ascoltavo invece il jazz perché mio padre era un musicista jazz. Allo stesso modo non seguivo nemmeno Beatles, Led Zeppelin o qualsiasi altra band che si presuppone che un ragazzino inglese di quell’epoca ascoltasse. Con il tempo ci ho aggiunto Pink Floyd, Yes, Genesis, King Crimson, e via via sono arrivato ad ascoltare il classico prog rock dei Settanta. Ma da ragazzino il prog rock non era nel mio radar, io amavo il jazz americano.
Quali sono stati i tuoi batteristi di riferimento, dal momento in cui ti sei seduto dietro ai tamburi? Dapprincipio Steve Gadd e Jeff Porcaro. Poi mi era capitato di sentire i Japan e sono stato folgorato da Steve Jansen perché mi sono reso conto che sta tutto nel design ritmico e non nella tecnica. Ho adorato anche Billy Cobham, Vinnie Colaiuta, Simon Phillips, Stewart Copeland... In tutti i casi, batteristi dalla spiccata personalità.
Parliamo del tuo proverbiale approccio melodico al drumming: è qualcosa che hai sviluppato con il tempo e lo studio, oppure è un ingrediente naturale della tua personalità di musicista? Ritengo di essere sempre stato un pianista frustrato! [ride] Mi piace concepire la batteria pensando a delle melodie come se io fossi davanti a un pianoforte o anche a una marimba, ed ecco perché adoro avere un drumkit esteso, ricco quindi di strumenti e sonorità con cui interagire.
Capita mai che un brano nasca da un tuo pattern ritmico? Su questo album credo che soltanto un brano sia nato da un ritmo di batteria. Solitamente è lo spirito di un brano a ispirarmi la soluzione meno ovvia possibile... si spera! [ride] specialmente quando si tratta di prog rock. Differentemente, nell’ambito del pop la batteria deve fornire il tempo, il groove, il tiro, mentre nel prog è necessario creare un design ritmico finalizzato all’originalità e al sapore del brano, testo incluso, quando c’è.
Ciò conduce in qualche modo a certi concetti che hai spiegato nelle tue opere didattiche nel corso del tempo e, riguardo all’ispirazione, come la metti? Già... da dove viene l’ispirazione? Da dove viene una buona idea? Talvolta si tratta di magia... qualcosa che accade e basta. Ma il più delle volte si tratta di un input che ti arriva da un passaggio, da un momento del brano che ti colpisce, e a quel punto metti in campo la tua bravura sullo strumento, la tua esperienza se così vogliamo chiamarla, e così manipoli quell’input e scatta l’idea, la scintilla, che fa funzionare il resto delle cose. Un discorso a parte è l’originalità dell’idea. E’ come la Fiat 500, per fare un esempio, un design originale che l’ha resa un’icona dell’industria automobilistica. Se la confronti con un’auto più nuova ma banale, ti accorgi della magia che c’è in una Fiat 500 e d’altronde gli italiani, quando si parla di design, sono fantastici! Ecco, tornando alla batteria, e vale per ogni altro strumento musicale, avere un’idea originale significa avere anche un occhio particolare per la bellezza, quello che ti faccia captare la differenza tra ciò che è elegante oltre che solo funzionale. Un’automobile può funzionare bene, ma un design azzeccato può trasformarla in una vera e propria espressione di arte e creatività, e questo vale un po’ in tutti i campi... Quando guardi un edificio, riconosci all’istante se è il frutto di un architetto dalla personalità spiccata; puoi non conoscerne il nome, ma è certo che riconosci la peculiarità del design. Ebbene, creare un design ritmico significa consegnare al brano una peculiarità che lo rende originale e distinguibile all’istante.
Studi parecchio a tutt’oggi? Sì. Direi però che mi concentro sugli esercizi di pura tecnica in minima parte, mentre il grosso del lavoro lo dedico a esplorare e sperimentare ritmiche, fraseggi, suoni e opzioni varie. Insomma, non sento la necessità di suonare più veloce di quanto io sappia fare! [ride]
Torniamo ai Pineapple Thief e al tour europeo che è passato anche a Milano lo scorso marzo: com’è andata? Abbiamo portato sul palco i brani del nuovo album [It Leads To This] oltre che alcuni brani degli album precedenti e alcuni del repertorio più vecchio... per la gioia dei fan della prima ora. Ritengo che questi siano stati tra i nostri migliori concerti di sempre, oltretutto con un bel palco e belle luci... una cosa fantastica! Pensa che all’Alcatraz di Milano ci avevo già suonato un paio di volte con i Porcupine Tree e anche per uno show tv di Claudio Baglioni. [Il 14 novembre 2024, i Pineapple Thief daranno il via alla tranche statunitense del tour]
Hai citato i Porcupine Tree [Steve Wilson, Richard Barbieri, Gavin Harrison]: come riesci a conciliare tutti questi impegni? Ma... sai, i tour vengono pianificati con almeno un anno di anticipo e così tutti noi riusciamo ad organizzarci al meglio.
A proposito di impegni, nel 2020 è uscito Chemical Reactions, il tuo disco in tandem con Antoine Fafard: hai in programma qualcosa di nuovo in tal senso? A dire il vero io e Antoine abbiamo già registrato un secondo disco ed uscirà alla metà di quest’anno... manca poco, quindi. Tuttavia, non ho in programma altri progetti del genere perché devo dire che è molto dura stare dietro a tutto.