Tra le stelle luminose del firmamento prog rock, brilla sicuramente Nick D’Virgilio, batterista tra i più stimati, ma anche valente cantante e chitarrista, oggi impegnato con "The Likes Of Us", il nuovo e 15esimo album firmato Big Big Train...
Quella di Nick D’Virgilio è la carriera di un batterista completamente votato al groove, cresciuto tra prog e rock, riuscendo a conciliare la lezione dei grandi batteristi degli anni Settanta/Ottanta. Secco, potente, completo e straordinariamente preciso, egli padroneggia tempi e stili e possiede quella qualità indefinibile ma essenziale che si chiama Tiro.
D’Virgilio registra con i Big Big Train nel 2007 e, a partire da The Underfall Yard (2009), troverà il terreno giusto su cui esprimere al massimo il suo stile dietro i tamburi; il 1°marzo 2024 la celebre prog rock band britannica (fondata nel 1990 da Gregory Spawton, bassista, chitarrista e compositore), pubblica il nuovo e 15esimo album, The Likes Of Us, il primo per la tedesca InsideOut Music; inutile dire che la mano di D’Virgilio si sente, eccome!
In attesa che il The Likes Of Us Tour 2024 traghetti i Big Big Train in Europa dal prossimo settembre, abbiamo incontrato Nick D’Virgilio e gli abbiamo fatto un bel po’ di domande...
Ciao Nick, innanzitutto ben tornato su queste pagine! Questa volta siamo qui con te a parlare di The Likes Of Us, il nuovo album siglato Big Big Train promosso dagli appassionati di prog rock sin dai primi giorni dall’uscita... Ringrazio voi, ragazzi... per me è sempre un piacere interfacciarmi con i lettori italiani!
Consentici una riflessione, prima di entrare nel vivo dell’intervista... sei nei BBT da oltre quindici anni ed il fatto che tu ti senta a tuo agio è evidente sotto ogni profilo: confermi? È fantastico, siamo una famiglia! Ho cominciato con i BBT registrando qualche traccia di The Difference Machine [2007] poi, in occasione di The Underfall Yard [2009], mi hanno chiesto di entrare nella band e mi sono sentito subito a casa. Tutti noi suoniamo per la musica e per la band; ciascuno di noi porta i propri input, idee, intere strutture e quant’altro, e tutti ci adoperiamo allo sviluppo e al risultato finale. C’è spazio per l’espressione di tutti noi, lasciatemi dire anche per la valenza del playing di tutti, e siamo così coesi negli intenti che la band ha codificato un linguaggio proprio e riconoscibile.
Tornando all’album, hai suonato la batteria, le percussioni, il vibrafono e la chitarra acustica; hai cantato nei cori, hai fatto degli arrangiamenti per i fiati e ti sei occupato della produzione di tutte le tracce... un mega lavoro! Inoltre, sei l’autore del testo di Oblivion, il brano arioso e potente, con quel groove che riporta proprio la tua firma... ce ne parli? Vi dirò che è proprio il sound fresco e godibile di quel brano ad averci indotto a pubblicarlo come primo singolo per lanciare l’album. E’ un brano pulsante e godibile e devo dire che mi piace parecchio.
Beneath The Masts è un vero e proprio monumento al prog rock, con tutte quelle atmosfere che si rincorrono, si allontanano e si ricongiungono di nuovo, contando sull’approdo sicuro fornito dal tuo drumming... Inoltre, sei autore della musica insieme a Bravin e Spawton, giusto? Giusto! In effetti è un brano monumentale, nella cui durata di oltre 17 minuti si intrecciano e si alternano gli umori e gli strumenti più diversi; tutto, proprio come dicevo prima, nella massima coesione degli intenti. In quanto alla costruzione delle mie parti, ci ho lavorato a lungo e l’esecuzione dietro ai tamburi ha richiesto un certo livello di indipendenza e una complessa gestione delle dinamiche. Una vera sfida che però, a mio avviso, è sfociata in un buon risultato.
Domanda d’obbligo, che genere di equipment hai utilizzato per le registrazioni dell’album? Ho utilizzato un paio di batterie: un kit British Drum Co. che ho configurato con tamburi di dimensioni piuttosto tradizionali – cassa 22x18”, rack tom 10x8” e 12x9”, floor tom 16x16” e 16x18” – ed una Tama Starclassic Bubinga, totalmente diversa, con misure grandi: cassa 26x14”, rack tom 13x9”, floor tom 16x16” e 16x18”. Ho utilizzato diversi rullanti – Ludwig, British Drum Co, Tama e DW – e un bell’assortimento di piatti Sabian, Zildjian, Paiste, Meinl e Ufip.
Come ti prepari mentalmente e fisicamente per affrontare le session di registrazione dei Big Big Train? Ascolto tantissima musica per metabolizzare nella testa le atmosfere più diverse; mi appunto dei titoli e li ordino come fosse una classifica... per il resto faccio tantissima pratica.
Il tuo stile dietro i tamburi è sempre così fluente e sciolto: hai lavorato per sviluppare questa abilità o è una tua naturale predisposizione? Credo che si tratti delle due cose messe insieme. Mi sono sempre piaciuti i batteristi che quando suonano non danno l’idea di essere sotto costante sforzo ed è per questo che ho sempre cercato di emularli, pur se in certi momenti è praticamente impossibile non fare quelle smorfie che paiono dire: “questo sì che è difficile!” Inoltre, ho ascoltato e suonato tanta musica; adoro tutti i generi e stili ed ho sempre cercato di trarne un po’ da tutti, arrivando con il tempo a raggiungere il mio linguaggio, la mia espressione e il relax dietro i tamburi.
Tu sei anche un buon cantante. Questa tua ulteriore dote ha mai influenzato in qualche modo il tuo drumming? Forse un po’... pur se cantare, ad esempio, una ballad non inficia nulla del tuo stile di batterista e, semmai, ti aiuta a migliorare come cantante! [sorride]
La tua carriera non prevede troppe soste, giusto? Dopo che hai lasciato gli Spock’s Beard ti sei unito al Cirque Du Soleil; poi sei entrato nel circuito Sweetwater Sound con la creazione di contenuti didattici e masterclass online e al momento sembra tu stia suonando parecchio dal vivo... Mr Big e Steve Hackett Band, giusto per fare nomi. Riesci a pianificare sempre tutto, oppure interviene anche il caso? Non avevo programmato di suonare con il Cirque ma il lavoro in quel periodo era poco ed io avevo bisogno di trovare un’occasione per continuare a mantenere la mia famiglia nel miglior modo possibile. Quella opportunità è spuntata fuori proprio nel momento più giusto e lo stesso è accaduto con Sweetwater! Negli ultimi anni, tuttavia, ho sentito la necessità di uscire a suonare di più e a un certo punto è venuta fuori l’opportunità di suonare con i Mr Big e con la band di Steve Hackett, situazioni grandiose. I piani che fai, in realtà cambiano sempre...
Come ti sei preparato per sostituire per un periodo Craig Blundell nella Steve Hackett Band? Lui ne ha parlato nel suo blog ma forse tu hai qualcosa da aggiungere... ad esempio, la setlist piuttosto impegnativa di quegli show e il fatto di trovarsi a suonare fianco a fianco proprio con Hackett. Come hai gestito una simile pressione? Di fatto, mi sono esercitato tantissimo! Quel che mi ha reso tutto un po’ più facile è stato il fatto che Steve stava presentando per intero Seconds Out ed io sono cresciuto suonando proprio su quel disco e me lo ricordo ancora benissimo. Phil Collins è sempre stato il mio batterista favorito e così mi sono trovato a suonare con Steve un repertorio che io conoscevo benissimo. Nonostante ciò, come dicevo, mi sono esercitato per ore ed ore. E’ stata una gran gioia suonare quei brani con Steve.
Qual è la differenza principale tra suonare con i Big Big Train e con le altre band nelle quali sei stato? Suonare con i BBT è qualcosa di davvero speciale perché questa è la mia band. Qui si tratta di contribuire al BBT-sound e di far conoscere la nostra musica nel globo. E, letteralmente, adoro farlo!
A proposito di suonare ai quattro angoli del globo, sappiamo che c’è un luogo che ami in particolar modo, giusto? Giusto, ed è il Budokan di Tokyo. La scorsa estate ho avuto l’occasione di suonare in quel tempio leggendario... è davvero incredibile e sono così tante le band di tutti i tempi che ci hanno suonato. Pensa che era nella lista delle location dei miei sogni e finalmente ci sono riuscito!
Quando sei in tour segui una peculiare routine? La prima cosa che faccio la mattina appena mi sveglio è lavarmi i denti! [ride] Poi devo forzatamente prendermi un caffè, quindi inizio ad esercitarmi dietro il drumkit. Inoltre, prima di un concerto, mi dedico al warm-up per almeno 45 minuti.
Cosa ti ha portato a suonare la batteria? Pare che quando avevo solo 5 anni avessi l’abitudine di sbatacchiare tutto quello che mi capitava a tiro, e così mio padre mi regalò un drumkit. Il resto è venuto da sé.
Ricordi ancora il tuo primo drumkit? Certo! Era una Ludwig Blue Sparkle 1968: cassa 20”, rack tom 12”, floor tom14” e rullante 14”x5” in acciaio.
La tua top five dei batteristi preferiti? Questa è difficile da rispondere. Al numero uno metto Phil Collins, lui suonava il prog rock con il feeling di un batterista di R&B. Al numero due metto John Bonham per quel groove così solido e potente e al numero tre, ci metto Vinnie Colaiuta, sa suonare tutto! Al numero quattro metto Tony Williams per la sua incredibile energia incredibile ed un sound potente e molto raffinato. Al numero cinque ci metto Clyde Stubblefield poiché lo considero il batterista funky per eccellenza. Devo fermarmi qui, ma ci sono parecchi altri batteristi che ammiro.
Sono tanti i batteristi che ti seguono con costanza, quali sono gli apprezzamenti che ti inorgogliscono di più? Che ho un ottimo groove e che faccio sembrare semplici le cose... non sono tanto sicuro del secondo punto, ma è molto figo che dicano una cosa del genere sul mio conto. [sorride]
Chiudiamo con qualche suggerimento per i giovani intenzionati a suonare la batteria da professionisti? Essere brave persone. Presentarsi con puntualità ed assicurarsi che la strumentazione sia in ordine e che funzioni correttamente. Seguire il cuore. Praticare con lo strumento con costanza. Essere brave persone... questo è necessario ripeterlo un’altra volta!
NICK D’VIRGILIO in pillole...
Nato il 12 novembre 1968 a Whittier, nel sud della California, Nick D’Virgilio è un batterista decisamente votato al groove, cresciuto assimilando la lezione dei grandi degli anni Settanta/Ottanta (Phil Collins è tra le sue principali influenze). Secco, potente, completo e straordinariamente preciso, D’Virgilio padroneggia tempi e stili ed è uno specialista di quella qualità indefinibile ma essenziale che si chiama “tiro”. Il suo segreto è l’attitudine innata, che egli alimenta con una pratica mirata, senza darsi mai troppe pause.
D’Virgilio balza alla cronaca nel 1992 con l’esordio degli Spock’s Beard, là dove a partire dal 2002 assume anche il ruolo di cantante. Lascia la prog band statunitense nel 2011 per rientrare cinque anni dopo per un live e per le registrazioni dell’album Noise Floor (2018).
Tra le influenze più marcate di D’Virgilio vi è Phil Collins e destino vuole che prenda il suo posto in parte delle registrazioni di Calling All Stations, 1997: la consacrazione della sua passione per Collins e per la musica degli stessi Genesis, ma anche del suo innato talento di batterista (e cantante).
La carriera di D’Virgilio sfodera numerose collaborazioni di prestigio: Roland Orzabal (Tears For Fears), Mike Keneally Band, Mystery, Fates Warning, Cosmograf, Stratton, Dave Kerzner, Martin Orford, Steve Hackett, Mr. Big… Ha pubblicato inoltre tre album a suo nome e due siglati D’Virgilio, Morse & Jennings, l’ultimo dei quali (Sophomore) uscito nel 2023.
Dal 2007 Nick D’Virgilio è con i Big Big Train, in questi giorni sulla scena con The Likes of Us, il nuovo album con Alberto Bravin al microfono per la prima volta dopo la triste scomparsa di David Longdon. L’album sfodera nove tracce capaci di attraversare gli umori più diversi in puro stile prog rock, là dove D’Virgilio suona la batteria, in qualche episodio la chitarra acustica, compone alcuni brani e gli arrangiamenti per i fiati: nessun intento però di prevaricare, bensì quello di mettersi al servizio della musica in una stretta coesione con i suoi compagni di avventura.
BIG BIG TRAIN The Likes Of Us InsideOut Music
Promossi a pieni voti! E’ questo il responso che pubblico e critica hanno riservato da subito a The Li-kes Of Us, l’album dei Big Big Train uscito lo scorso marzo 2024: in sostanza, non solo la riconferma che la caratura della prog rock band britannica non si è scalfita, ma che la coesione non ha rischiato di vacillare dopo la prematura scomparsa dell’indimenticato David Longdon nel 2021.
E’ Alberto Bravin (con la PFM dal 2015 al 2022) ad ereditare il microfono di Longdon e ad accompa-gnare la band verso il futuro con la discrezione che gli è propria, ed il nuovo e 15esimo album, The Likes Of Us (il primo con InsideOut Music), ne è una dimostrazione: nove tracce in puro stile prog rock, in cui nostalgici echi pastorali, delicate ballad, assoli stratosferici (chitarra e batteria) ed umori raffinati e sferzanti, si inseguono al servizio della musica, con i BBT che, su tutto, ricercano la coesio-ne degli intenti. Dunque, nessun tentativo dei componenti della band di ostentare i rispettivi (e marcati) know-how, bensì la voglia di esprimersi in un habitat comune, là dove far crescere songwriting, pa-thos e creatività.
Un cenno quindi alla lineup: Alberto Bravin (voce lead, chitarra, tastiere), Gregory Spawton (basso, acustica12 corde, Mellotron), Nick D’Virgilio (batteria, vibrafono), Dave Foster (chitarra), Oskar Holldorff (tastiere, voce), Clare Lindley (violino, voce), Rikard Sjoblom (chitarra, tastiere, voce), quest’ultimo in arrivo dai Beardfish e Gunfly. Sezione fiati: Dave Desmond (trombone), Nick Stones (corno francese), Ben Godfrey (tromba), Jon Truscott (tuba).
La tracklist apre con Light Left In The Day (firmato Spawton/Bravin) ed il tocco dello stesso Spawton, maestro della 12 corde acustica, per un brano che punta sullo spirito della narrazione più articolata. Segue Oblivion (firmato D’Virgilio/Foster) che cattura sin dal primo istante: solida voce di Bravin, bass picking pulsante, melodia suonata dal Moog e il possente groove di D’Virgilio dietro i tamburi: tutto per un sound fresco e godibile, snocciolato in una atmosfera ariosa e potente che in qualche mo-do ricorda gli Yes dei tempi di Trevor Horn.
Il successivo Beneath The Masts, considerabile la punta di diamante di The Likes Of Us, è un brano monumentale firmato Spawton/Bravin/D’Virgilio, per 17 minuti che alternano umori prog e cinematic, là dove il violino scolpisce una dimensione fatta di passato ed incanto, mentre il testo si rivolge alla fragilità della vita umana.
Chorus avvolgente e un finale che travolge caratterizzano Skates On, di nuovo a firma Spawton, per un brano da ascoltare più volte per riuscire ad assorbire i numerosi cambi di tema; poi la scaletta passa a Miramare, firmato Bravin/Spawton, là dove il fulcro è la melodia enfatizzata dal violino, mentre un bell’assolo di chitarra nella parte centrale precede il grandioso chorus (con pianoforte) che chiude il brano; uno degli episodi più coinvolgenti dell’album, destinato agli appassionati del prog rock, ma non solo.
Tra gli episodi più accessibili del disco, Love Is The Light, di nuovo a firma Bravin/Spawton, è una ballad che, introdotta dal violino, sfodera il falsetto del cantante italiano, il trascinante playing dell’immancabile chitarra elettrica, una sezione fati in grande spolvero ed il ficcante drumming di D’Virgilio dietro la sua batteria.
Nuovamente la firma Spawton/Bravin e questa volta si tratta di Bookmarks, con la 12 corde che fa il suo rientro in scena per un brano ben congegnato, che risente di un marcato mix di influenze in arrivo da Genesis, King Crimson, Queen. Chiude Last Eleven con una sezione ritmica con un tiro funky (davvero istrionico D’Virgilio...), una chitarra che marca a vista la melodia e le tastiere impegnate a ordire il tappeto armonico: un brano, fir-mato ancora Spawton, tra i più complessi dal punto vista esecutivo, ma decisamente intrigante.
Songwriting, arrangiamenti, esecuzioni strumentali, groove e creatività: tutto di alto livello in The Li-kes Of Us... esattamente quello che i BBT promettono da sempre ai loro fans.