JOHN BLACKWELL al servizio del Principe DrumClub Aprile 2006
Paolo Sburlati 01 lug 2016
Dinamico, spettacolare ed energico. Tre aggettivi per descrivere John Blackwell, uno dei batteristi più ammirati e “caldi” della nuova generazione, co-protagonista del ritorno sulle scene in grande stile del genio di Minneapolis, Prince.
Blackwell ha un suo modo molto personale di suonare la batteria, pungente ed estremamente preciso. Contemporaneamente, però, concede molto allo spettacolo, facendo girare le bacchette tra le dita, incrociando le braccia e colpendo piatti e tom disposti tutti attorno e posizionati anche dietro le spalle.
Nato a Columbia (Sud Carolina) il 9 settembre 1973, è figlio d’arte; il padre John Sr. vanta infatti una lunga carriera con Cornelius Crawford, The Drifters, The Spinners e Mary Wells. Nasce, in pratica, con le bacchette in mano, dato che a tre anni riceve la sua prima batteria. Crescendo, rimane colpito dai dischi di Cameo, Prince, Patti Labelle, The Jacksons, Zapp & Roger, George Clinton & Parliament e a quindici anni comincia a suonare fusion con Robert Newton & Lotusfeet, frequentando nello stesso tempo la High School Jazz, dove incontra Billy Eckstine
Il suo talento viene riconosciuto da tutti e, a soli diciassette anni, entra al prestigioso Berklee College of Music di Boston, coronando tra l’altro il sogno di entrare
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in uno dei gruppi che maggiormente hanno influenzato il suo stile, i Cameo.
Nella band ci resta per tre anni e poi si sposta a Los Angeles, dove suona con Patti Labelle, vincendo un Grammy insieme a lei per il disco Live! One Night Only. Nel 1999 incontra Prince ed entra nei suoi New Power Generation, inaugurando una fruttuosa collaborazione che porta al successo dell’ultimo Musicology (2004, circa 3 milioni di copie vendute negli USA).
Questa folgorante carriera, però è funestata da un tristissimo episodio: la morte della figlia di due anni, Jia Kennie,avvenuta nel 2004 a seguito di un tragico incidente. Estremamente scosso, Blackwell negli ultimi due anni ha dato vita a numerose iniziative benefiche e creato fondi per aiutare i bambini poveri a studiare, dedicati alla memoria della figlia.
Come è iniziata la tua collaborazione con Prince? Ero in tour con Patti Labelle nel 1999 e lui mi ha visto suonare. Mi ha voluto provare con la sua band. Dopo, abbiamo lungamente discusso e mi ha invitato a Minneapolis, dove abbiamo suonato insieme per diverse date. Ho passato mesi a volare tra Los Angeles e Minneapolis. Poi mi ha chiesto di entrare nel lineup in pianta stabile e da allora suono solo con lui. Lo considero un grande onore.
Come vede Prince i musicisti dal punto di vista compositivo? Qual è il tuo grado di libertà d’espressione? In modo molto meno dittatoriale di quello che si pensa comunemente. Mi ha lasciato un ampio margine di libertà espressiva, ma mi ha parlato moltissimo di come intende lui la musica e di come vuole che vadano le cose sul palco. Credo che quest’esperienza abbia cambiato il mio modo di suonare in meglio. Mi ha dato moltissimi consigli e suggerimenti davvero eccellenti su cosa fare e su cosa non fare, su cosa funziona e su cosa non ha senso, specialmente in concerto.
Componi? Sì, ho un mio studio di registrazione e sono sempre impegnato a scrivere. Ma preferisco non farlo per me ma piuttosto concentrarmi nel fare qualcosa di adatto ad altri artisti. In futuro spero di potermi concentrare di più sull’attività di produttore.. Ho recentemente prodotto un disco per mio cugino, Charlie Marks, che ha firmato un contratto con la Sony Records. E, inoltre, sto lavorando al mio album solista, che sarà un ritorno alla musica fusion.
Prince ha suonato sul tuo album? Certo! Anzi, in pratica suona tutto lui, eccetto la batteria! (risate)
Formerete un duo stabile? Non proprio. Alcuni brani li ho prodotti io, alcuni altri artisti che hanno suonato con me. Sarà pubblicato in tutto il mondo prossimamente e spero sarà ben accetto dalla critica.
Hai dato indicazioni a Prince su come volevi che suonasse sul tuo album? No, non sono arrivato a tanto! (ride) Però mi ha chiesto molte volte come volevo un certo brano, una certa linea melodica, certi suoni ed effetti. Si è spontaneamente calato al meglio nel mio progetto e questo me lo ha fatto apprezzare ancora di più.
Che strumenti hai usato per registrare il tuo disco? Ho utilizzato un set molto semplice di cinque tamburi; come piatti, solo un Crash, un Ride, un Hi-Hat e un China. Dal vivo aggiungo altri tamburi - fino ad otto pezzi in più - e alcuni piatti. Uso batterie Pearl e piatti Sabian che sono molto versatili e che mi consentono di modificare agilmente il setup senza ridurre le possibilità timbriche. Uso bacchette Vater, le mie Signature chiamate Jia Angel, dal nome di mia figlia, scomparsa purtroppo lo scorso anno. Aveva solo due anni! Tuttavia, è andata a stare in un posto migliore di questo e da lassù mi guarda e sorride. Questo è quello che mi fa andare avanti...
Utilizzi anche dei piatti dedicati a tua figlia, vero? Sì, è vero. La Sabian ha realizzato un paio di piatti per me con il nome di mia figlia. Sono i Jia Chinese Cymbals proposti nei diametri di 18” e 20”. Sono particolari, come lo era mia figlia. Hanno il bordo all’insù ma non la campana al centro mentre la tornitura interessa soltanto il bordo, non il centro del piatto. Li posiziono dietro di me e li suono al di sopra delle spalle. Il loro suono è scuro, molto pieno di frequenze mescolate tra loro in modo da dare un risultato finale a dir poco esplosivo; tuttavia, sono discretamente corti per via dell’assenza della campana: proprio come li volevo io. La Sabian, su mia richiesta, mi aveva dato un paio di piatti simili qualche tempo fa, ma poi ho richiesto alcune modifiche e il risultato finale sono i Jia Cymbals. Ho avuto l’opportunità di scegliere tra una vasta gamma di prototipi e, in questo, mi ha sicuramente guidato la mia piccola Jia Kennie Blackwell. Così ho dato loro il suo nome.
Un nome particolare per una bimba… In giapponese Jia vuol dire amore e volontà. Anche le bacchette Vater hanno il suo nome adesso; prima le chiamavo John Blackwell Matrix, il nome del mio gruppo. Sono lunghe e hanno la punta piccola a cilindro, per una maggiore chiarezza del suono sui piatti. E quando le impugno, Jia mi ispira a suonare.
Il tuo stile è caratterizzato dalla grande velocità d’esecuzione e dall’adozione di diversi trucchi esecutivi… Cerco di essere veloce, ma è un’abilità non particolarmente rilevante. Si acquisisce facilmente con il tempo, suonando in continuazione ed esercitandosi. Chiunque ci può arrivare.
In passato hai realizzato un video didattico di grande successo… Si intitolava Technique, Grooving And Showmanship ed è stato pubblicato nel 2002. Nacque dalle richieste che mi giunsero da molti fans di mostrare lo studio e lo sviluppo della tecnica di suonare i piatti all’indietro e far girare le bacchette tra le dita. L’avevo realizzato insieme al mio bassista, Baron Browne, ed al mio gruppo, i Matrix, aggiungendoci anche alcuni brani che avevo eseguito con i Matrix al Modern Drummer Festival del 2002.
C’era anche Tom Coster alle tastiere? Sì, un magnifico musicista. E non dimentichiamoci di Bruce Barlett alla chitarra. Un gruppo veramente eccellente.
Ti consideri un musicista eclettico? Diciamo che mi piace molto suonare la batteria; sento il ritmo dentro di me in ogni momento: quando cammino, quando respiro, quando mangio. Il ritmo è una parte di me, è naturalmente dentro di me. Per stare bene devo suonare sempre e credo che questo lo abbia capito anche Prince! (ride)